Rebibbia, l’arte entra in carcere: nasce un’opera collettiva firmata Tibaldi

L’arte come momento di tregua e spazio di rifugio in un ambiente ostile come quello delle carceri: questa è l’idea dietro BENU, opera site-specific che l’artista Eugenio Tibaldi realizzerà in maniera permanente all’interno della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia Germana Stefanini.

Il progetto, che a cura di Marcello Smarrelli ed è promosso dalla Fondazione Severino e dalla Fondazione Pastificio Cerere, in collaborazione con Intesa San Paolo, è il risultato delle molte sessioni di lavoro con le detenute, articolate in laboratori e momenti di ascolto finalizzati alla raccolta di storie personali, aspirazioni e desideri tradotti in forma simbolica. La pratica del disegno ha caratterizzato questi workshop, dove, grazie alla continua condivisione del processo creativo, ha preso forma l’opera in fase di realizzazione.

L’opera nasce nell’ambito delle iniziative per il Giubileo 2025. BENU è una creatura mitologica, simile a un airone o un’aquila, dai colori sgargianti su cui prevalgono il rosso e l’oro. Un volatile considerato sacro dagli egizi, consacrato a Ra, successivamente assimilato alla Fenice che – per i greci prima, per i cristiani poi – diventa simbolo di nascita, rigenerazione e resurrezione.

Nell’opera che Tibaldi sta realizzando, questo simbolo si traduce in un messaggio potente di speranza e trasformazione, rivolto alle donne detenute, per portarle oltre i confini fisici e simbolici della reclusione.

Tibaldi: «A Rebibbia abbiamo immaginato nuove fenici»

«La reazione delle detenute alla proposta del progetto è stata meravigliosa, la larghissima adesione, il loro entusiasmo ed impegno mi hanno coinvolto ancora più a fondo investendomi di una responsabilità e di una profondità a cui non ero preparato» ha commentato l’artista che prosegue: «Durante le giornate trascorse a Rebibbia ho avuto la netta percezione che la divisione fra chi è all’interno e chi non lo è sia davvero labile. La scelta di provare ad immaginare insieme a tutte loro delle nuove fenici ha portato ad elaborati intensi che ora con un ulteriore lavoro in studio sto cercando di sintetizzare per creare delle immagini finali che siano allo stesso tempo personali e comuni a tutti noi».

L’installazione sarà composta da vari elementi ed entrerà a far parte in modo permanente del patrimonio dell’istituto penitenziario, segnando un momento simbolico e concreto di apertura e rigenerazione.

«Eugenio Tibaldi – racconta Marcello Smarrelli curatore del progetto – si è calato con profonda umanità e con un’empatia non comune all’interno del contesto carcerario, costruendo con le detenute una relazione forte che ha permesso loro di superare ogni forma di diffidenza, infondendo nuova fiducia nelle loro possibilità. Attraverso l’ausilio del disegno le detenute hanno potuto raccontarsi, mettendo a nudo i loro pregi e difetti che sono diventati altrettanti attributi di queste fenici immaginarie che diventano un autoritratto collettivo. Tibaldi ha sperimentato nel carcere una nuova modalità di committenza, dove l’opera d’arte torna ad essere materia viva che pulsa in uno spazio abitato da chi ha contribuito a realizzarla attraverso la manifestazione dei propri desideri e necessità».