Cop27, molte parole ma ancora pochi fatti: si punta alla resilienza

Si sta svolgendo in queste ore a Sharm el-Sheikh la Cop27, il più importante summit mondiale sui temi ambientali, dove si parla principalmente di cambiamento climatico: fin dal 1992, anno in cui si è tenuta a Rio De Janeiro la prima conferenza, le nazioni convenute hanno firmato e ratificato accordi che gli imponevano di ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

Tra le conferenze più importanti, quella di Kyoto del 1997 e quella di Parigi del 2015, nella quale è stato raggiunto l’accordo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2ºC rispetto e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC: un obiettivo molto ambizioso e per il quale non esiste ancora una “roadmap credibile”, come dichiarato dall’UNEP, Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.

Dpo 27 anni, di parole ne sono state dette tante, ma di fatti ne abbiamo visti ancora piuttosto pochi: l’anno scorso, alla COP26 di Glasgow, si era parlato per la prima volta di riduzione dei combustibili fossili, ma nella realtà poco o nulla si è fatto e si procede ancora spediti verso l’aumento di 2,6 gradi entro la fine del secolo.

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Cop27, al centro il finanziamento per perdite e danni

Si arriva così alla Cop27, con una guerra in corso che ha messo in luce le fragilità energetiche di mezzo mondo, con gli strascichi di una pandemia che ha sfilacciato le economie più forti e con l’eco che risuona nelle teste dei cittadini di titoli quali “cooperare o morire”, “siamo sull’autostrada verso l’inferno con l’acceleratore schiacciato”, “il mondo rischia un suicidio collettivo”. Singolare che queste metafore arrivino proprio dalla stanza dei bottoni, da quei potenti che hanno effettivamente il potere di togliere quantomeno quel piede dal pedale per evitare lo schianto finale.

Gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi di sempre, l’emergenza clima non si può più ignorare: l’impressione però è che più che dare una sterzata e invertire la tendenza, alla Cop27 ci si organizzi per “mettere una toppa” dove possibile, stanziando fondi. Secondo il rapporto commissionato dalla presidenza della Cop, i paesi del sud del mondo avranno bisogno di più di 2mila miliardi di dollari all’anno entro il 2030 per finanziare la loro azione per il clima: un’azione volta soprattutto a ripagare i danni a quella parte di mondo che meno contribuisce alle emissioni e più ne paga il dazio.

E’ il tanto citato finanziamento per perdite e danni, il loss and damage, ovvero la valutazione di perdite e danni provocati dalle catastrofi climatiche e degli aiuti economici per la ricostruzione dei Paesi colpiti.

ll Segretario generale dell’ONU Guterres ha suggerito che le economie sviluppate tassino gli extra profitti delle multinazionali legate ai combustibili fossili, in modo da poter reindirizzare quei fondi ai paesi che subiscono maggiori danni e alle persone che lottano con l’aumento dei prezzi di cibo ed energia.

Cop27, qualche buona notizia

Qualche spunto positivo comunque arriva: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha firmato cinque partenariati per la salvaguardia delle foreste, comunicandolo su Twitter.

Il segretario delle Nazioni Unite Guterres, che ha citato l’autostrada verso l’inferno nel suo discorso di apertura, ha anche detto che siamo in tempo per intervenire ma che occorre la volontà politica di farlo. Ed ha anche parlato dell’accordo Ucraina-Russia sul passaggio del grano e della pace in Etiopia come segnali incoraggianti di una svolta positiva.

Il dato di fatto è che entro il 2030 era prevista una diminuzione del 45% delle emissioni, ma in realtà queste stesse emissioni stanno crescendo del 10% e che è ancora più pesante in questo senso l’assenza di alla Cop27  di grandi paesi come Russia, Cina e India, che sono responsabili di buona parte delle emissioni di CO2 in atmosfera.