Mimmo Lucano, Ex Sindaco di Riace . Un’icona per alcuni, un nemico per altri. Qui la nostra intervista.

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Abbiamo incontrato Mimmo Lucano, ex Sindaco di Riace e protagonista di vicende politiche italiane e internazionali. Lucano, un’icona per alcuni, un nemico per altri. Qui la nostra intervista.

In un momento storico in cui i valori sono sconosciuti, la sua politica sociale, dal basso, ha unificato in un unico gruppo etico persone “orfane” di un credo politico. Tra solidarietà e attacchi, come vive ora? 

Credo che non è un fatto del periodo. I primi anni delle mie scuole superiori, in quel periodo era differente il rapporto con l’impegno, iniziava da subito, questo è vero. Oggi forse perché le strategie della comunicazione sono profondamente cambiate è diverso. Allora non c’era internet, non c’era telefonino non c’erano i social, da noi circolavano i giornali, i quotidiani. Era questo il mezzo di confronto con gli studenti di tutta Italia sui temi politici e sociali, non erano solo temi locali. Eravamo impegnati sul nostro territorio, ovviamente questo era il nostro primo interesse, ma avevamo sempre uno sguardo verso una dimensione “oltre”, che guardava a tutto ciò che ci succedeva intorno. Quello che mi ricordo è che questo luogo comune del “non ci sono più valori” si diceva anche in quel periodo. Perché è come se si contrapponesse sempre da una parte chi guarda con indole, ostinazione e sensibilità a un impegno collettivo e dall’altra chi guarda solo alla dimensione privata. Anche allora si diceva che non c’erano ideali e valori. Ma oggi davvero, non per luogo comune, siamo in un periodo in cui sta prevalendo un’onda nera, come perdita di valori e l’affermarsi di una società della barbarie, di mancanza di senso collettivo che poi ha questa proiezione sui piani politici dove si determina quello che riguarda a tutti noi.

Sia a livello locale, sia a livello generale noto sempre questo dilemma e questa conflittualità rispetto a che cosa vuol dire avere un impegno in maniera diretta, per decidere e incidere a qualunque livello, locale, regionale o nazionale, oppure rimanere e avere impegno al di fuori di queste orbite.

C’è sempre stata una ritrosia rispetto ai posti dove si determinano “le cose”, questo fa parte proprio del DNA. È come se uno dicesse “è inutile essere parte dentro i processi politici perché tanto l’impegno può essere fuori”. Voglio dire che la sinistra è forte, anzi fortissima può vincere fuori da un partito, fuori da una logica così organizzata. Siamo forti quando siamo nelle piazze, quando coltiviamo ideali che non finiranno mai di essere messi da parte da nessuno, ma siamo deboli quando nei partiti rappresentiamo sempre queste frammentazioni. Ognuno rappresenta qualcosa quasi sempre minoritaria, è come tante isole che non diventano mai arcipelago. Questo è un dilemma. Poi ovviamente quello che sto rappresentando si contrappone all’idealità delle destre, alla logica delle destre. Le destre come idea non organizzativa ma di chi ha poco a che vedere con gli ideali: chi non soffre, chi non ha una tensione sociale, umana ed emotiva. Basta che si siedono e fanno prevedere un interesse economico, una logica del potere. A prescindere dalla realtà. E soprattutto negli ultimi periodi in cui ci sono queste tecniche, le proiezioni del consenso che viene determinato da chi ha la possibilità di capire come si raggiungono le intenzioni delle persone, vengono studiate le criticità, i malcontenti. Quello che la gente vuole sentirsi dire, perché produce consenso. C’è uno studio fatto da chi vuole raggiungere gli obiettivi del potere. C’è sempre uno staff che dice “oggi i sondaggi funzionano così e quindi seguiamo questo per determinare il consenso”. Sembra di aver a che fare con qualcosa che si muove contro cui non si può fare nulla.

Questa analisi serve anche a me per capire quello che è accaduto a Riace, io non ho uno stato organizzativo. Certamente non avevo queste intenzioni, di poter determinare chissà che, per me fare il sindaco era il massimo.

Poi è vero che tutte le cose che ho detto sono stati i pensieri di generazioni rispetto ai temi che prima ho analizzato. Io ho fatto parte del proletariato giovanile, a Riace del circolo popolare di unità proletaria, facevo parte di una famiglia piccolo borghese e sono stato in conflitto con mio padre.

Che cos’è la politica? Partendo da un’analisi della mia famiglia è una logica di classe; sembra un’analisi classista ma secondo me dà una chiave di lettura anche per la mia attuale situazione sulla questione giustizia e magistratura. Mi chiedo: ci può essere giustizia se non c’è uguaglianza? Un giudice nella scala sociale appartiene a una scala sociale ai livelli più alti. Allora ci può essere giustizia per il popolo? Per me il concetto di uguaglianza è quello che mi ha dato più slancio emotivo. Lo stessa analisi che possiamo fare sulle mafie deve partire da questo punto.

In poche parole, come riassumerebbe l’accaduto dalla scorsa estate a oggi? 

Mi sono occupato dei disperati del mondo, e ho pagato per questo ovvero sto pagando. Sono punito con l’esilio, una cosa che non si è mai vista, mi hanno sospeso come sindaco.

Mi sono occupato dei disperati a prescindere se legalmente la loro condizione di soggiorno fosse apposto o meno apposto.

Mi si accusa di avere organizzato matrimoni combinati. Che dire dei matrimoni di sangue di mafia per affermare il potere sul territorio e aumentare il controllo e il consenso? Io mi sono occupato degli ultimi del mondo, dei disperati, di coloro che non hanno altra soluzione se non andare in giro per il mondo per sopravvivere. Ma la vita, umana vita dignitosa, quando uno nasce deve essere per tutti o deve essere riservata a pochi? C’è qualcosa di più atroce nella dimensione umana di dover vendere il proprio corpo?

Mi sembra tutto così paradossale e mi ricollego al concetto di uguaglianza sociale. Quello che ho fatto non l’ho mai fatto per buonismo, ma per spontaneità, la prima cosa che mi è capitata. Non è che ho preso le nave con le persone che sono arrivate a Riace. Passavo per la strada ho visto lo sbarco, quello sbarco ha cambiato il destino del mio impegno politico anche rispetto al territorio e forse anche il destino del territorio stesso, di un piccolo paese destinato all’oblio sociale, tra quei paesi destinati alla deriva, dove non c’è più nessuno.

Un altro paradosso, la Calabria è una delle regioni dell’emigrazione. Ebbene, c’è la baraccopoli dove ci sono condizioni abitative disumane, le baracche, nessun servizio igienico sanitario, con i caporali che la mattina aspettano per sfruttare quelle persone. 

E dove sono le autorità? Come mai sono state così attente e puntuali a individuare un neo burocratico nella storia di Riace – che comunque aveva dato una senso a una comunità, e una risposta alle persone che sono arrivate in fuga dalle guerre? Riace incontra i drammi dell’umanità, non per libera scelta ma per un caso, il vento ha portato questo, comanda il mare qui… però abbiamo trasmesso un messaggio umano: questa è la soluzione e spesso “messaggio umano” significa normalità e uguaglianza. Le persone che sono in fuga sono persone povere, che non hanno altre opportunità. 

Ecco perché il cerchio io lo chiudo sempre attraverso quello che è il senso del mio impegno. Il senso di un ideale, che non è un credo politico, è qualcosa di più grande se mi posso permettere. E oggi che cosa posso dire? Posso dire che la scelta che avevo fatto, in qualche modo sospesa tra questa incertezza di provare una volta a essere istituzione in un piccolo governo locale e la consapevolezza che magari a lIvello più grande chissà… 

Però io sono stato dentro le istituzioni senza esserlo, con la consapevolezza che se entri in un meandro così burocratico, in questi labirinti, alla fine non farai nulla. Sarebbe meglio rimanerne fuori, ma io ho accettato dal primo momento questo rischio e questo impegno. Ovviamente con la consapevolezza che non valeva la pena se non c’era un’idea di non assecondare per nulla quella che potesse essere una funzione fine a se stessa, per essere solo coerenti con un protocollo. Io ormai lascio lo spazio, è stato bellissimo fare il sindaco, mi ha dato entusiasmo come nessun altro ruolo istituzionale, perché tu comunque hai la possibilità di dare un contributo comunque determinante, e io questa consapevolezza ce l’ho avuta dal primo istante. Io nel mio immaginario mi portavo dietro questo sogno, di poter dire che non possiamo determinare chissà che cosa… ma a Riace è accaduto. Mi ricordo un mio amico che mi ha regalato un libro che è stato quasi come un avvertimento, “L’Arte di non governare”, come a dire: adesso tu avrai una conflittualità con il potere e con te stesso. E ti giuro io l’ho fatto con una visione non da primo cittadino ma da ultimo, cercando di non perdere l’occasione di applicare una visione ideale. 

La responsabilità di essere diventato un simbolo: ci sono dei pro e dei contro. Quali sono? C’è qualcosa che non rifarebbe? La quantità di firme arrivate in poche ore per la sua candidatura al Nobel dimostrano la forza dei gesti e delle azioni dei piccoli, come storia e Storia si possano incontrare e ancora una volta “rivoluzionare” una situazione. C’è qualcosa di cui ha paura?

Nelle vicende giudiziarie, una delle preoccupazioni più forti non è quella di essere da 6 mesi in esilio… a me non fa paura se devo andare in carcere, ma non posso sopportare quando si tenta di denigrare l’immagine e la dignità delle persone. A questo si ribella la mia coscienza: di tante cose si dice il falso. Meno male che il giudice dice “questo sindaco non ha toccato un euro”… però volevano demolire un messaggio, non solo l’aspetto materiale del progetto, che era bellissimo. Se tu vai ora a Riace, non ci vai per un monumento, certo è bello, ma a Riace c’è qualcosa di immateriale sospeso nell’aria perché ha fatto un’opera d’arte: ha accolto persone in fuga dalla povertà, dalla miseria. Questa è la nostra opera d’arte, una testimonianza per sempre.

(Parlando di mafia ndr.) Quando ero sindaco da 7-8 anni, temevo e lasciavo la macchina lontana e mi portavo i documenti dietro così quelli rimanevano e nessuno se li poteva portare via. Poi con il passare del tempo ho realizzato: nessuno mi farà questo (attentare alla vita ndr.) perché mi farebbero solo più forte. Perché oggi hanno capito la strategia dell’oppressione per “annullare” veramente.

Ogni 9 maggio c’è un popolo che arriva a Cinisi per Giuseppe Impastato, quante volte lui è rinato? Ma le persone che lo hanno ammazzato sono morte 1000 volte. Vale per tanti altri il cui esempio di vita, di sogni di giustizia, democrazia e libertà li ha portati a perdere la vita. Questo errore non lo fanno più, non ti fanno eroe: oggi la mafia ha bisogno di consenso sociale, non vogliono apparire brutti, sanno parlare anche un linguaggio etico ma hanno un altro metodo sia la mafia che il potere cosiddetto deviato. Il potere di voler imporre il dominio. Qual è la strategia? Quella di denigrarti sul piano dell’immagine di dire che hai fatto delle cose assurde, di infangarti per distruggerti sul piano della coscienza, che è più brutto del piano fisico. Allora la mia preoccupazione è che io non volevo che attraverso di me dovesse pagare l’ideale di una generazione. Io ho veicolato questo per combinazione, ho avuto l’opportunità in un piccolo luogo di fare diventare questa sinistra utopica una parte determinante del processo. E’ accaduto, mettiamola così, e non voglio che venga sporcato perché non è giusto. E’ stato solo un tentativo e io mi auguro che ci sarà un bagliore di luce su tutta questa storia. 

Oggi qual è il suo desiderio più grande?

Questo periodo ci mette tanta tristezza perché ci fanno passare per ideali le cose opposte: chiudere i porti, alzare i muri, rafforzare i confini. Invece ce l’ho un’altra utopia io, vorrei che non esistesse nessun confine, niente passaporti. A che servono i passaporti? Tutti liberi nel mondo, dove c’è uno stesso cielo, uno stesso mare, una stessa terra. L’arte è questo, uno slancio di utopia come noi possiamo immaginare la bellezza delle cose. Ci sono tanti artisti che vogliono venire a Riace ognuno per un piccolo segno. E un’occasione straordinaria dove si incontrano le coscienze. Wim Wenders ha detto che tornerà, questo mi mette tanto entusiasmo, sulle ali di una nuova Calabria, di un’altra Calabria… è una metafora per il mondo. Questa volta potremo raccontare una storia globale, universale.

Arte, consapevolezza e bellezza. Come ha vissuto il murales nato a Riace e a lei dedicato?

La musica e l’arte sono espressione delle nostra anima, la prima cosa che mi ha colpito del murales era la luce del panorama, non era la figura. Mi sono immaginato di guardarlo dalla ringhiera: gli occhi, dalla piazza di Riace, vanno a incrociare questo spazio. Quella figura ricorda la storia della comunità, il murales dei ragazzi di Radio Aut: racconta questi slanci dell’umanità, un’altra utopia, quella dei ragazzi che vivono con l’oppressione della mafie e che con i mezzi rudimentali di comunicazione – una radio – hanno lasciato un segno che ha fatto il giro del mondo.

“Ringraziamo Maura Crudeli del Comitato Premio Nobel per la Pace a Riace, Presidente AIEA ONLUS e coordinatrice artistica del progetto “IL SOGNO DEL GUERRIERO” di Carlos ATOCHE.” Il Comitato Riace premio Nobel per la Pace ha candidato il borgo dell’accoglienza per il Nobel 2019, raccogliendo più di 100.000 firme, 1000 associazioni e 2700 professori universitari.