Al Museo Rietberg di Zurigo l’unica tappa nell’Europa continentale della mostra ‘Hallyu! L’onda coreana’, divisa in quattro sezioni.

Dopo aver conquistato orde di estimatori con musica, film, k-drama e k-beauty, l’onda coreana – meglio nota come Hallyu – approda al Museo Rietberg di Zurigo con la mostra Hallyu! L’onda coreana, aperta fino al 17 agosto. Un intero padiglione del celebre Museo è infatti dedicato a tutto ciò che – negli ultimi anni – ha reso celebre la Corea del Sud. Ed è un’occasione imperdibile, perché sarà l’unica tappa della mostra nell’Europa continentale, prima di viaggiare verso l’Australia.
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«La mostra introduce il fenomeno dell’Hallyu. – dice Khanh Trinh, una delle curatrici – Molti conoscono il k-pop o i k-drama, altri conoscono più i prodotti del k-beauty. A noi sembra un fenomeno abbastanza giovane, ma in realtà ne parliamo da 45 anni. Basti pensare che Hallyu è una parola cinese che vuol dire onda coreana. È un termine coniato dai fan cinesi negli anni ’90. A quel tempo la musica e le serie televisive avevano conquistato la Cina e poi il Giappone. Per arrivare da noi negli anni 2000».

Nella prima stanza, non a caso, campeggiano immagini e video di PSY che – nel 2012 – conquistò il mondo con Gangnam Style. «La mostra – continua Khanh Trinh – evidenzia però tutti gli aspetti della k-wave e, in particolare, la storia degli sviluppi in senso storico e politico dell’economia della Corea del Sud. La mostra si sviluppa infatti in quattro grandi sezioni».
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Hallyu! L’onda coreana al Museo Rietberg di Zurigo: le quattro sezioni
La prima sezione della mostra è un’introduzione alla storia della Corea del Sud negli ultimi cinquant’anni. «Negli ultimi 50 anni – dice la curatrice – il paese ha vissuto molti cambiamenti. Con la Guerra Mondiale è stata liberata dal Giappone, ma poi è scoppiata la guerra coreana, terminata nel 1953 con la divisione del paese tra nord e sud. Fino agli anni ’80 c’è stata inoltre una dittatura militare e, solo successivamente, il governo ha puntato molto sull’economia». Un’economia che si è dunque sviluppata molto velocemente, puntando molto sulla tecnologia, sulle automobili e sugli elettrodomestici.

«Si narra una leggenda – racconta Khanh Trinh – e cioè che il governo coreano negli anni ’90 si rese conto che film hollywoodiani come Jurassic Park portavano più soldi in un anno dell’intera produzione delle automobili. Da qui un progressivo investimento su film e serie tv».
La seconda sezione della mostra è dedicata proprio ai k-drama e al cinema coreano. Qui troverete ad esempio i costumi di Squid Game, ma anche una riproduzione del bagno di Parasite, capolavoro di Bong Joon-ho. «Il cinema – dice la curatrice – si è sviluppato già dagli anni ’80 con i film di Kim Ki-duk, ma anche con il successo di Old Boy».

La terza parte della mostra si concentra poi sul k-pop e sul suo fandom. Interessanti, in questa sezione, le esperienze interattive (tra cui la possibilità di praticare la coreografia di That That, brano di PSY e Suga). «Il fandom in particolare – dice la Trinh – è una cultura a sé e può muovere molte cose. I fan creano mobilitazioni per il bene della comunità, però ci sono naturalmente anche i lati più oscuri, dalle critiche al vero e proprio mobbing. Non a caso, i social media sono stati fondamentali nello sviluppo del k-pop». In mostra anche alcuni outfit degli Ateez e delle aespa.
Infine, l’ultima sezione è dedicata al k-beauty e alla moda, puntando su «una riscoperta della tradizione coreana. – conclude la curatrice – La bellezza e la cura di se stessi sono elementi molto profondi nella cultura coreana, perché già nell’epoca Joseon non era solo vanità estetica, ma parte della moralità. Nel Confucianesimo l’ideale della cura di sé si lega al non disturbare gli altri». Le ricette di creme, prodotti e skin care provengono dunque dal ‘500 e dal ‘600 e oggi – grazie al successo dei brand – la Corea è il terzo paese al mondo per la produzione di cosmetici.
«Il filo rosso di questa mostra – conclude Khanh Trinh – è dimostrare il collegamento tra la tradizione e la cultura pop di oggi. Per questo c’è anche una stanza dove abbiamo presentato delle opere della pittura tradizionale».
Foto di Patrik Fuchs