Milo Manara e la sfida de ‘Il nome della rosa’: «Un romanzo di bruciante attualità»

A quarantacinque anni dalla pubblicazione del romanzo che lo consacrò al grande pubblico, Il nome della rosa torna a vivere in una nuova forma visiva grazie a Milo Manara. Il maestro del fumetto contemporaneo firma, infatti, un adattamento che è molto più di una trasposizione. È una chiosa illustrata che dialoga con l’opera di Umberto Eco, restituendone la complessità attraverso tre diversi registri grafici. Ci sono le sculture e i portali, i marginalia fantastici e i codici miniati; c’è il romanzo di formazione del giovane Adso e il suo incontro con la sensualità; e la vicenda storica dei Dolciniani con il tema della povertà, del dissenso, della diversità perseguitata.

Tutto converge in un lavoro monumentale che fonde filologia e invenzione, memoria e attualità. Il risultato è un’opera che ha richiesto anni di elaborazione e che oggi trova piena espressione nella prima mostra integrale delle tavole tratte dal primo e dal secondo volume al Volvo Studio di Milano. Curata da Elisabetta Sgarbi, con allestimento di Luca Volpatti, l’esposizione sarà visitabile fino al 15 gennaio 2026.

È in occasione dell’inaugurazione che incontriamo Manara per parlare del suo rapporto con Eco, dell’enorme sfida di condensare una cattedrale narrativa in immagini. E di ciò che Il nome della rosa continua a raccontare al presente.

È uscito il volume 2 de Il nome della rosa da lei illustrato: cosa rappresenta questo momento in cui un progetto così importante trova compimento?
Questo è un momento di grande liberazione per un autore che ha passato qualche anno a disegnare monaci e monasteri. E a scrivere di teologia, di filosofia… quando invece i miei territori di elezione, diciamo, sarebbero altri. Ma contemporaneamente è anche un momento di grande felicità, perché posso mostrare il mio lavoro ai lettori. Chiunque faccia questo mestiere – che sia uno scrittore, un pittore, un fumettaro, un illustratore… ma anche un teatrante – lo fa per qualcun altro, non per se stesso. Il confronto con i lettori è fondamentale.

E questo è proprio quel momento, il momento in cui il libro deve camminare con le sue gambe e nessuno può più fare nulla per migliorarlo o proteggerlo. Deve farsi amare così com’è, ormai definitivamente. Se uno mi chiedesse qual è il mio capolavoro, sarei costretto a rispondere: “il prossimo”. Perché si spera sempre di fare il lavoro perfetto, ma non ci si riesce mai. Io so che farò un capolavoro… ma il prossimo.

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Tornando al suo primo incontro con Umberto Eco e con questa storia, una delle più lette al mondo. Che cosa l’ha colpita?
Il mio primo incontro è stato con l’uscita della prima edizione del libro. E fu una sorpresa enorme, perché nella letteratura italiana non siamo abituati a un libro contemporaneamente così elitario e così popolare. Nella letteratura americana, francese o inglese gli autori tengono spesso d’occhio sia l’alto che il basso tra i lettori. Da noi o è una cosa o è l’altra: o è un libro intellettuale o è un libro popolare. Forse Pinocchio riesce a tenere insieme l’alto e il basso. In Inghilterra ce ne sono tanti: da Peter Pan al Libro della Giungla di Kipling, o Dickens… Eco è riuscito a farlo; e l’ha fatto con un libro che si presta a più livelli di lettura, perché è sempre anche qualcos’altro.

Il Nome della rosa 2, Pagina 68 / Oblomov – La Nave di Teseo
Il Nome della rosa 2, Pagina 66 / Oblomov – La Nave di Teseo

È un romanzo di formazione del giovane Adso, ma è anche un giallo, con dei morti e un investigatore che cerca i colpevoli. È un libro teologico, perché c’è la disputa sulla povertà di Cristo e della Chiesa. Ma è anche un libro sui libri. È davvero tante cose. Direi banalmente che ce n’è per tutti i gusti. Io ho seguito solo un paio di filoni, perché basta guardare lo spessore dei due volumi messi insieme e confrontarlo con quello del romanzo per capire che ho dovuto tagliare molto. Però ho lasciato in piedi la struttura. Ho tolto quasi tutto senza compromettere l’ossatura di questa cattedrale gigantesca. Ho tolto, ma sono rimasti i fili di ferro.

E se dovesse definirle, quali sono le colonne portanti?
Direi quelle più popolari che intellettuali, proprio per la vocazione stessa del fumetto per quanto possa avere anche una natura elitaria. Se ci pensiamo, il primo fumettaro è di 50mila anni fa, quando si disegnavano animali sulle pareti gibbose delle grotte illuminate dal fuoco. Con il baluginare delle fiamme sembrava che le figure prendessero vita; immagino i bambini e anche gli adulti che guardavano. Così è iniziata la narrazione per immagini.

E poi ripenso a Giotto: quando dipinse le storie di Francesco nella Basilica Superiore di Assisi non mette balloon o parole, perché quelle immagini erano destinate agli analfabeti che andavano in chiesa. Raccontavano a loro. Era una vocazione popolare autentica. D’altra parte, se prendiamo il più milanese di tutti gli autori, Crepax, difficilmente potremmo definirlo popolare: è molto intellettuale. Quindi la narrazione per immagini può contenere scelte molto diverse. Io spero di essere più autenticamente popolare – faccio di tutto per esserlo – ma senza rinunciare, per quanto posso, all’intelligenza.

Il Nome della rosa 2, Pagina 24 / Oblomov – La Nave di Teseo

A Umberto Eco dobbiamo molto per il suo impegno a far riconoscere il fumetto come forma letteraria. Ripenso, per esempio, alla collaborazione con Oreste Del Buono per la rivista Linus, che in Italia ha trasformato un linguaggio che per molto tempo era stato considerato “da fanciulli”. È come se questo graphic novel rinnovasse quell’intento…
È perfetto quello che ha detto: proprio si chiude un cerchio. Il fumetto ha un debito enorme nei confronti di Umberto Eco, per la sua opera di riconoscimento del rango culturale che può avere. Non solo nei suoi scritti saggistici: addirittura ha scritto un romanzo, La favolosa fiamma della regina Loana, in cui il protagonista è un intellettuale che perde la memoria e, per recuperarla, va nella soffitta della casa dei suoi genitori.

Lì ritrova, nei vecchi bauli, i fumetti che leggeva da bambino e, attraverso la loro lettura, pian piano recupera la memoria. E uno di questi fumetti aveva in copertina questa “regina Loana”, con la misteriosa fiamma sulla testa. Il libro è corredato da molte illustrazioni dei fumetti dell’epoca dell’infanzia di Umberto Eco.

Qual è la modernità oggi di un romanzo come Il nome della rosa?
Credo che ci siano almeno due elementi molto attuali. Il primo è l’incontro tra il giovane Adso e la ragazza. Se uno legge attentamente quelle pagine, con alcune frasi tratte dal Cantico dei Cantici, in cui Eco descrive la bellezza, il fascino e la gentilezza di questa ragazza, credo che nessuno mancherebbe più di rispetto a una donna, se davvero comprendesse ciò che lì è scritto. È un tema attualissimo. Il secondo elemento è la questione della ricchezza e della povertà.

Il Nome della rosa 2, Pagina 71 / Oblomov – La Nave di Teseo
Il Nome della rosa 2, Pagina 21 / Oblomov – La Nave di Teseo

C’è una disputa tra la delegazione degli avignonesi e quella dei francescani: Cristo era povero o ricco? La Chiesa deve essere povera o ricca? Esistono persino affreschi ad Avignone che rappresentano un crocifisso inchiodato con una mano sola, mentre con l’altra protegge una borsa di denaro: immagini al limite della bestemmia, della blasfemia.

E anche questo è un tema molto attuale. Credo che gran parte dei problemi del mondo derivino dall’insensata differenza tra ricchezza e povertà a cui assistiamo oggi. Ci sono persone talmente ricche da possedere più di interi Stati. Si calcola che Elon Musk sia più ricco del Burkina Faso, del Sudan e della Nigeria messi insieme. È insensato. Non ha senso dal punto di vista economico, e ancor meno da quello morale ed etico. Andando avanti così, cosa succede? I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Succederà che dieci persone possiederanno tutta la ricchezza e gli altri saranno tutti morti; si troveranno in dieci. È apocalittico: una strada sbagliata, anche per loro. Ne ho sentito parlare dal Dalai Lama e recentemente dal Papa. Ma non ho sentito un politico, nel mondo, dire che siamo su una strada evidentemente sbagliata. E questo c’è ne Il nome della rosa. È un argomento di bruciante attualità.

Foto Shutterstock / Tavole: Oblomov – La Nave di Teseo