Nell’ambito di BIENALSUR, a Palazzo Braschi dal 13 novembre al 15 dicembre, sotto il titolo di Invocazioni troviamo anche la mostra di Chiara Bettazzi, dal titolo oggetti d’incontro. Un progetto site-specific, che – attraverso la fotografia e l’installazione ambientale – indaga l’idea di trasformazione, mettendo in relazione il paesaggio industriale e urbano e l’elemento vegetale. Sin dagli esordi, la ricerca della Bettazzi è del resto legata a una riflessione sull’accumulo di oggetti d’uso quotidiano e il loro riutilizzo in composizioni che evocano presenze animate.
A Palazzo Braschi a prendere vita sono oggetti domestici assemblati ad elementi vegetali: un materasso avvolto da lenzuola bianche, un’asse da stiro e un tavolino da lavoro sostengono una composizione di fiori e piante che si affaccia da una delle estremità del corpo oggettuale. L’artista mette in scena una mutazione progressiva degli elementi: ad animare queste nature morte dal carattere fantasmatico sono le fotografie, installate secondo una progressione sequenziale che testimonia la graduale trasformazione del soggetto.
Chiara Bettazzi a Palazzo Braschi: la trasformazione degli oggetti
«È un lavoro installativo scultoreo che ho realizzato appositamente per BIENALSUR a Palazzo Braschi. – ci dice Chiara Bettazzi – La mostra si compone anche di tre fotografie di grande formato e rappresenta un’unica installazione. La parte progettuale è composta da oggetti di uso quotidiano, piante e materie organiche che io metto insieme, componendoli qua sul posto. Ho un’idea di progetto, ma poi in maniera istintiva la realizzo direttamente in loco, portandomi tantissimo materiale ovviamente dallo studio in cui lavoro, che è a Prato in un’ex area industriale».
«Lavoro a contatto con il paesaggio industriale della città e, da anni, conservo e colleziono tutta una serie di oggetti di vario tipo, usati, abbandonati, che poi metto insieme per creare queste installazioni. – prosegue – Le fotografie sono realizzate nel 2025, in primavera, all’interno di un cantiere di 17.000 m2 in Firenze, che è poi l’ex convento di Sant’Orsola che diventerà appunto un museo. Ho lavorato lì per circa due mesi a un’installazione e, nel frattempo, ho realizzato degli scatti fotografici: composizioni realizzate con materassi, fiori finti, tavoli da cucina, all’interno di questo luogo semi-abbandonato».
L’uso della luce, del luogo e dei materiali nella ricerca dell’artista
I piani di comunicazione e di espressione, per Chiara Bettazzi, sono quindi differenti. «Sicuramente, il luogo e la luce naturale dello spazio in cui vado a lavorare sono la prima cosa che guardo. – ci rivela in proposito l’artista – Soprattutto sulla parte fotografica. Ridisegno lo spazio che abito nel periodo della mostra attraverso gli oggetti, quindi è una maniera nuova di disegnare lo spazio. Non uso la matita, ma compongo oggetti».
E, sui diversi media usati per creare installazioni, chiosa: «Sono media diversi che esistono nel mio lavoro costantemente insieme, proprio perché la fotografia fissa un attimo del mio lavoro che è effimero. La composizione viene ritratta nello scatto fotografico solo in un determinato momento ed esiste solo fotograficamente. L’installazione, che anche esiste per un arco temporale determinato, esiste tuttavia in maniera oggettuale. Quello che io realizzo fotograficamente non è visibile da voi in maniera reale, ma è in qualche modo visibile solo attraverso lo scatto fotografico. Ho questa propensione, questa attitudine alla composizione continua e allo smontaggio, che poi crea appunto quello che viene ritratto nella fotografia. Diciamo che la fotografia è più testimone di un movimento dietro di me che avviene».
Foto: Chiara Bettazzi, Oggetti d’incontro, Credito fotografico: Marcos Mendivil