Alvise Rampini e ‘Tre Sguardi’: «Fotografie e storie per raccontare il confine»

Dal 25 ottobre 2025 al 18 gennaio 2026, nella sede di Casa Morassi a Borgo Castello (Gorizia), sarà possibile visitare la mostra Tre sguardi. Racconti fotografici inediti per GO! 2025. L’esposizione – unica nel suo genere – presenta gli shooting che Steve McCurry, Alex Majoli Meta Krese hanno realizzato nell’estate 2024 su incarico del CRAF. A raccontarcela è Alvise Rampini, direttore del CRAF, che incontriamo alla Trattoria La Luna: un luogo non casuale, considerando che è il ristorante di Celestina Goljevscek, fotografata proprio – in occasione della mostra – da Steve McCurry. «McCurry l’ha fotografata per raccontare la Domenica delle scope, da lei vissuta 75 anni fa – ci racconta Rampini – quando gli abitanti di Nova Gorica forzarono pacificamente il confine, per incontrare parenti e acquistare generi di prima necessità».

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L’esposizione è frutto di una sinergia tra il Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo e la Regione Friuli Venezia Giulia in collaborazione con PromoTurismoFVG e ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia.

La mostra nasce per raccontare un confine spesso ignorato. In che modo?
«La mostra è nata per raccontare questo territorio originariamente caratterizzato da un confine molto rigido che divideva Italia e Jugoslavia. Gorizia come una piccola Berlino, forse poco conosciuta che presentava situazioni paradossali come alcuni giardini di abitazioni tagliate dai due confini. Oggi il grande cambiamento con eliminazione delle barriere e la libera circolazione. Da questo presupposto nasce la mostra Tre Sguardi».

Com’è stato pensato l’intero progetto?
«Raccontare un territorio attraverso il sociale, coinvolgendo tre fotografi. Un autore internazionale che non conosceva questo territorio, uno nazionale sicuramente informato dell’integrazione delle due città, e una fotografa slovena esperta del territorio. Si genera così un progetto molto diversificato».

Partiamo dal lavoro di Meta Krese: cosa avete dedotto dal suo sguardo?
«L’occhio di Meta Krese è molto legato al suo territorio. Ha realizzato sei interviste a sei famiglie. Alcune sono slovene ma abitano a Gorizia per una convenienza economica o lavorativa, mentre altre raccontano storie sempre profondamente legate all’evoluzione e al cambiamento di questo territorio, spesso ricordando il passato. È un percorso raccontato attraverso delle interviste, un vero e proprio storytelling che deve essere affrontato dal visitatore».

Il tanto atteso Steve McCurry: com’è stato organizzato il suo lavoro?
«Quando lo abbiamo contattato la prima volta, ci ha chiesto subito totale autonomia. Ha capito che si trattava di un territorio particolarmente complesso e voleva affrontare questo progetto attraverso 18 storie. Abbiamo incaricato un giornalista de Il Piccolo, Roberto Covaz, che si è occupato di studiare, reperire le informazioni e gli interpreti di questi racconti. Situazioni coinvolgenti come la Domenica delle scope, quando il 13 agosto 1950 la popolazione di Nova Gorica ha invaso pacificamente Gorizia per acquistare  beni di prima necessità e incontrare i parenti oltre confine.

Celestina Goljevscek, ristoratrice goriziana – Steve McCurry

Altre storie: Nora Gregor (classe 1901), attrice di cinema muto goriziana, impersonata da Anita Kravos, presente anche nel film La grande bellezza di Sorrentino. Ed ancora, il primo volo su Gorizia nel 1909 e la conseguente creazione dell’aeroporto che ha visto nascere l’Aeronautica Militare italiana. Uno degli ultimi infermieri che hanno lavorato con Franco Basaglia. Ognuno ha raccontato la propria storia a McCurry, che poi ha realizzato gli scatti, semplici, quasi asettici perché voleva essere pura documentazione visiva».

Veniamo ad Alex Majoli, fuoriclasse mondiale. Che lavoro ha costruito sul territorio?
«Alex Majoli è arrivato come un cane sciolto. In passato aveva lavorato documentando un istituto psichiatrico in Grecia, reportage di guerra e tanti altri progetti straordinari che lo avevano portato alla presidenza della Magnum Photos. Per Tre sguardi Majoli ha creato delle sezioni che hanno coinvolto l’Isonzo, un fiume che separa l’Italia dalla Slovenia ma che ora diventa pura aggregazione, integrazione tra i due confini.

I TUFFATORI / THE DIVERS / SKAKALCI – Alex Majoli

Ha poi immortalato il bosco sul Carso incenerito nel 2022, uno scheletro che lo ha affascinato. Altre storie vedono immagini del pluripremiato coro teatrale Seghizzi dove i ritratti hanno volutamente un contrasto molto forte, supportato da uno studio attento della luce».

Dietro le quinte: stampa, neri, catalogo. Sembra un lavoro maniacale…
«Alex Majoli ha voluto stampare autonomamente le sue fotografie. Per il catalogo ha mandato una serie di campioni che si basano su neri scheletrici e su curve di diagramma: è scienza e tecnica. Alex lavora in modo maniacale, dando parametri molto precisi. Le fotografie sono studiate con grande attenzione, mai banali. In questi progetti si evince la complessità della fotografia Contemporanea che è vera ricerca. Per la stampa abbiamo pensato a tre cataloghi, uno per autore, racchiusi in un cofanetto. Un bellissimo lavoro grafico, fustelle e scontorni che spiegano lo sguardo diverso degli autori».

Alex Majoli

Oltre alla mostra, c’è anche un docufilm dedicato alla sessione di McCurry.
«Marco Rossitti, regista e docente dell’Università di Udine, ha realizzato un interessante docufilm sul reportage di McCurry che è stato seguito per una settimana, con gli studenti, a distanza. Un bellissimo lavoro. Il filmato è presente in mostra in lingua italiana con sottotitoli in inglese e in sloveno. Sarà lanciato sicuramente su altri media».

Quando ha capito la reale complessità del progetto?
«Non credevo fosse così complesso questo progetto curato insieme a Michele Smargiassi. In seguito ci siamo imbattuti in varie difficoltà: ogni fotografo è stato completamente autonomo nella realizzazione degli scatti e nella spiegazione del proprio storytelling. Si potrebbe cadere nella solita banalità che chiunque potrebbe realizzare alcune istantanee proposte in mostra, ma queste critiche sono presenti in tutta l’arte Contemporanea, dai tagli sulla tela di Lucio Fontana fino alle teste in pietra di Amedeo Modigliani.

ANDREJA, DENIS, MEGI E LORIS – Meta Krese

Ci sono molte storie affascinanti come quella di un ragazzo africano, arrivato alcuni anni fa e trattenuto nel Centro di identificazione di Gorizia. Quando è uscito si è creato una famiglia, un lavoro, gestisce un locale e ha tantissimo amore per questi due Stati. Gli piace sottolineare che ora la sua casa è sempre aperta. Una bella storia di integrazione, anche se contestualizzare questo territorio è complesso».

Spostiamoci sul CRAF: qual è la sua storia?
«Il CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, nasce ufficialmente nel 1993. Già dagli anni ’50, tuttavia, a Spilimbergo, terra di fotografi, c’era un DNA promettente. Un giovane Italo Zannier, primo docente italiano di fotografia e ideologo del manifesto del Gruppo friulano per una Nuova Fotografia, che ha portato innovazione con una fotografia legata al sociale. In seguito nasce il CRAF, che si occupa da sempre di promuovere la fotografia attraverso esposizioni, libri e cataloghi e alimentare una importante sezione d’archivio, che è una vera e propria filiera dove i fondi fotografici acquisiti vengono messi in sicurezza, restaurati, digitalizzati, catalogati e implementati in un importante archivio digitale. Il CRAF possiede 550.000 fotografie conservate in un deposito climatizzato, con temperatura e umidità stabilizzata. Qui manteniamo il nostro patrimonio fatto di lastre, negativi e positivi».

Quanto può essere complicata la catalogazione?
«È complessa e sicuramente costosa, ma è necessaria per far conoscere il nostro patrimonio. Abbiamo fondi importantissimi come l’archivio Crocenzi o quello di Toni Nicolini che, per 20 anni, si è occupato di campagne fotografiche per il Touring Club italiano. Ha realizzato oltre 400 scatti a Venezia negli anni Settanta oggetto di una mostra allestita nella Biblioteca Nazionale Marciana. È stato un avvenimento importante con oltre 50mila visitatori».

Come gestite la digitalizzazione e la sicurezza?
«La digitalizzazione negli ultimi anni si è evoluta con importanti innovazioni tecnologiche. Il nostro server conserva un patrimonio importantissimo ed è oggetto di grande attenzione, manutenzione, back-up, aggiornamenti».

Un recupero clamoroso durante il Covid: le lastre del Genio Civile. Me lo racconta?
«Abbiamo ricevuto la telefonata di un consigliere regionale che ci segnala che la Polizia Idraulica di un piccolo Comune, ente che aveva il compito di verificare la sicurezza degli argini dei fiumi, conserva un fondo di lastre fotografiche. Troviamo un dipendente molto appassionato, che ci porta a visitare un vero e proprio museo dedicato alla storia del Genio Civile.

Foto di Meta Krese

Erano presenti delle lastre fantastiche che illustrano centinaia di lavori pubblici realizzati dal Genio Civile tra il 1910 e il 1950. Le lastre, di proprietà dell’Archivio di Stato, sono state lasciate in concessione al CRAF. All’interno documentazioni importanti come quella di un castelliere medievale che nessun esperto contattato dal CRAF conosceva. L’immagine è stata posizionata nei nostri social e una archeologa dell’Università di Udine ha riconosciuto questa architettura localizzandola nella costiera triestina, distrutta dai bombardamenti della Prima Guerra mondiale».

Altri fondi significativi entrati in archivio?
«Nel 1947, una ragazza di 23 anni di nome Wanda Minelli si iscrisse alla Camera di Commercio di Udine (all’epoca comprendeva anche la Provincia di Pordenone) per diventare fotografa. Il padre firmò la licenza per creare uno studio fotografico dove venivano realizzati principalmente ritratti di famiglia e fototessere su lastra. Il CRAF ora possiede 13mila lastre, ritratti di intere generazioni. Abbiamo provato a scorrere 50 lastre di anni diversi osservando l’evoluzione di pettinature e abbigliamento: un vero studio antropologico dal 1947 al 1977. 30 anni di evoluzione del costume».

Come avvengono le cessioni?
«Alcuni istituti ma soprattutto privati ci contattano per donazioni. Il CRAF è garanzia di conservazione, restauro ma anche di promozione».

Il caso Carlo Dalla Mura: chi era e perché è un archivio così sorprendente?
«Un fondo importante. Carlo Dalla Mura era un avvocato udinese, classe 1927. La sua famiglia, sicuramente con grandi possibilità economiche, dopo la laurea finanziò un lungo viaggio che è durato dieci anni.

Steve McCurry

Ha potuto visitare negli anni ’50 l’Europa, il Sudafrica e tanti altri Paesi realizzando scatti straordinari, incrociando il lavoro di Henri Cartier-Bresson. Molte sue fotografie sono state pubblicate nella celebre rivista Il Mondo di Mario Pannunzio, che chiuse i battenti nel 1966. Il CRAF gli ha dedicato una mostra che ha fatto conoscere il suo talento».

Foto Preview: Maurizio Gorian, ex infermiere dello psichiatricoSteve McCurry