Nei giardini della Biblioteca Laurentina, sotto la grande tenda marocchina di Souk38, abbiamo incontrato Amjed Rifaie. Il maestro iracheno di calligrafia araba ha guidato i partecipanti del laboratorio tenuto durante il festival INLINGUA, dal 12 al 28 settembre, attraverso un’arte millenaria, che diventa una forma di meditazione contemporanea.
«Pazienza, tanta pazienza, molta pazienza», ripete con un sorriso mentre racconta ai nostri microfoni questa straordinaria arte. In un’epoca dominata dalla velocità digitale, Amjed porta avanti una missione cha va ben oltre l’insegnamento di una tecnica artistica.
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L’arte che viene dall’anima
Originario della Mesopotamia, Amjed Rifaie è uno dei pochissimi maestri a diffondere la calligrafia araba in Europa.
«La calligrafia araba racchiude molti aspetti in sé: storico, spirituale, culturale, linguistico. – ci spiega – Ma la parte più importante è quella spirituale. Ogni lettera ha una geometria precisa, un’altezza, una larghezza e un’inclinazione. Questa precisione richiede una concentrazione che porta ad una sorta di annullamento del tempo».
È proprio questo aspetto meditativo che colpisce chi si avvicina per la prima volta a questa arte. «Il 90% dei partecipanti ai miei corsi arriva con uno stato d’animo turbato – ci racconta Amjed Rifaie – perché questa è la nostra vita quotidiana, fatta di corse e scadenze. Ma quando si sforzano di avere pazienza, quando ripetono il gesto, quando scaricano lo stress attraverso il calamo (strumento in bambù inventato nel VII secolo e ancora oggi insostituibile nella pratica calligrafica), accade qualcosa di magico».
Un ponte tra due mondi
La calligrafia di Amjed Rifaie non si limita alla tradizione: le sue opere fondono colori e forme in composizioni che nascono «dall’emozione del momento». Non c’è pianificazione, solo l’impulso di «buttare sulla carta quello che sento». Questa spontaneità lo ha portato a sperimentazioni audaci, come l’inserimento della calligrafia nella danza, facendo letteralmente ballare le lettere sui corpi delle ballerine.
«La calligrafia araba può diventare un linguaggio universale di armonia e bellezza», riflette il maestro «Un messaggio di pace e di amore. È stata usata ovunque, da arabi e non arabi, da musulmani e non musulmani» sottolinea, ricordando come quest’arte abbia sempre attraversato le frontiere religiose e culturali.
Il futuro di un’arte antica
Nel contesto del Souk38, il laboratorio di Amjed Rifaie dialoga con le musiche del Maghreb, il rap, la poesia contemporanea, creando quello «scambio e contaminazione culturale» che è l’anima del festival.
«Per poter fare stili calligrafici che non rispettano la regola, prima si deve passare dalla regola. – racconta Rifaied – Dobbiamo avere le radici prima di partire». Una lezione che va oltre la calligrafia, in un tempo in cui il rispetto delle tradizioni e l’apertura al nuovo sembrano spesso in conflitto.
Nei suoi gesti lenti e precisi, nel nero dell’inchiostro che si trasforma in bellezza sulla carta, Amjed Rifaie custodisce un segreto semplice quanto rivoluzionario: che l’arte più antica del mondo può ancora insegnarci a rallentare, a respirare, a ritrovare pace in un mondo che corre troppo veloce.
Foto: Revenews