Protagonista del documentario sperimentale Histela di Pietro Gardoni – in programma martedì 19 agosto al Teatro Simoni Fè di Bienno – Lucio Avanzini apre le porte della sua bottega, in senso figurato e letterale, per raccontare la sua arte e la sua storia. Nato e cresciuto nel borgo, ci accoglie nel suo laboratorio scusandosi per il disordine, prima di iniziare a parlare delle residenze artistiche portate in paese dal progetto Bienno Borgo degli Artisti 2.0.
«Sono sempre qua. – ci dice – Vedo tanta gente che viene e tanta che va. Conosco più o meno tutti».
Seduto tra cesti e sedie da impagliare, Lucio ci spiega: «Intreccio ceste e impaglio sedie, ma mi occupo anche di ricerche storiche sul territorio della Valle, del bresciano e del bergamasco». In paese, in fatto di storia locale, dialetto e genealogie, Avanzini è una vera autorità.
«È un lavoro continuo in divenire. – racconta – Vado negli archivi di Stato e ogni documento trovato è una notizia in più, sia per la storia dei cognomi che per quella del dialetto. Non ho mai scritto un libro, ma metto da parte informazioni che potranno essere utili. Ho imparato a leggere i documenti antichi da autodidatta: frequento gli archivi dal 1995».
Lucio Avanzini, cestaio di Bienno e memoria storica del borgo
Un impegno che richiede pazienza e attenzione ai dettagli. «Ogni documento è una miniera di fonti. – spiega – Un atto notarile, ad esempio, cita dei testimoni. Un ricercatore spesso li tralascia perché non rilevanti per il suo scopo, ma per me ogni nome è un tassello in più».
Il legame con Bienno è indissolubile. «Ci si conosce tutti. – sottolinea – Si vive ancora bene, nonostante il periodo storico. Siamo lontani sia da Brescia che da Bergamo, 67 km, e questo ci rende un’isola felice. Quando vado in città, non vedo l’ora di tornare».
LEGGI ANCHE: Valentina Manzoni: Bienno, il motocross e il ferro tra «fragilità e resistenza»
Radici e tradizione per Lucio non sono solo valori: sono una vocazione. «Vado a cercare piante selvatiche e, con innesti, ricreo le varietà antiche. – racconta – L’arte di intrecciare i cesti l’ho imparata 22 anni fa da Giovanni Salvetti, detto Ronchèl, di Niardo. Una bellissima arte tradizionale, che porto avanti con orgoglio».