Milano rende omaggio a Remo Salvadori (Cerreto Guidi, 1947) con una mostra diffusa che abbraccia tre luoghi simbolo della città. Il Museo del Novecento, la chiesa di San Gottardo in Corte e Palazzo Reale. Proprio qui, dal 16 luglio, il Piano Nobile si ‘popola’ di opere dell’artista per un percorso che diventa riflessione tra arte, spazio e tempo. Sala dopo sala, infatti, l’esposizione curata da Elena Tettamanti e Antonella Soldaini è un itinerario in 59 tappe che invitano a immergersi nel pensiero di Salvadori, sviluppando un rapporto personale con ciascuno dei lavori.
“Queste opere che troverete il vostro percorso sono le risposte che mi superano, ma che sono vicine alle mie necessità reali”, spiega l’artista introducendo la mostra. “E penso che siano vicine anche a voi perché non ho un’idea verticistica della mia esperienza, piuttosto ho un’idea vibrazionale. Amo più la persona che la sua rappresentazione e mi trovo sempre vicino all’essere dell’altro. Il mio desiderio è fare un vero incontro con l’altro”.


Anche per rispondere a quest’esigenza, la mostra si distacca dal concetto tradizionale di retrospettiva, proponendo un’esperienza che si compie ‘nel momento’, come sottolinea Salvadori. “Non cerco un approdo. Non cerco un’opera che mi rappresenti ma ‘sto’ con lei continuamente. Sono ‘nel momento’ e così tengo acceso ‘il fuoco’”. Dopo un’anteprima (2-14 luglio) con sei opere storiche rielaborate nelle Sale delle Cariatidi e del Piccolo Lucernario di Palazzo Reale e al Museo del Novecento, l’antologica si sviluppa al primo piano di Palazzo Reale secondo un ritmo visivo che intreccia passato e presente.
“Il progetto della mostra è nato ponendo l’attenzione sui nuclei tematici rappresentativi dell’opera di Remo Salvadori. Le opere consentono al visitatore di entrare in relazione con Salvadori, un invito a diventare figura partecipativa dell’evento, del suo farsi”, spiega Tettamanti. Soldaini aggiunge: “Come se ci si trovasse ad attraversare una sequenza di ‘stanze’ che abitano il pensiero dell’artista, il visitatore avrà la possibilità di essere coinvolto in un dialogo tra sé e l’altro, in una reciprocità da cui si sviluppa un nuovo modo di vedere l’esistente”.
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Le opere: un dialogo con lo spazio
Il percorso si apre con Continuo infinito Presente 1985 (2007), un cerchio di cavi d’acciaio intrecciati nella Sala dei Ministri, simbolo della poetica di Salvadori. Nella Sala del Trono, invece, No’ si volta chi a stella è fisso, 2004 (2025), in metallo lucido, muta aspetto con lo spazio, incarnando mutevolezza e adattabilità. E si prosegue con Germoglio, presente in quattro versioni che esplorano cerchi intersecati in forme pittoriche e scultoree. Mentre Lente liquida 1998 (2024), con contenitori di vetro pieni d’acqua e un cerchio di rame e foglia d’oro, evoca trasformazione naturale.
Nella Sala degli Specchi, Verticale (anni ‘90-2000) presenta fogli di rame arrotolati con oggetti in vetro, ferro e ceramica, creando tensione tra alto e basso. E se Anfora e modello 1982 (2025) – accompagnata da un piccolo dipinto d’epoca – allude al trasporto e alla figura di San Cristoforo, la Stanza delle tazze, 1986 esplora la forma del cerchio particolarmente cara all’artista.
A far riflettere proprio sul rapporto tra opera, spazio e visitatore è, poi, l’opera dal titolo L’osservatore non l’oggetto osservato con una sequenza di cavalletti colorati. Salvadori riflette proprio su quell’oggetto, tanto comune quanto simbolico. “In fondo è un oggetto imperturbabile ed è utile, per i tempi lunghi, per i soggetti in movimento… Ho sentito che queste categorie dell’oggetto fisico avevano a che fare anche con le mie modalità [di lavoro]: il desiderio di più luce, il soggetto in movimento e se l’ancora è un archetipo di attraversamento, questo è diventato un archetipo di sguardo”.
Il tempo dell’esperienza
Un semplice cavalletto, dunque, “mi ha portato a fare tante riflessioni. Per esempio, una è questa: se io guardo un albero, c’è una direzione che va da me all’albero. Poi c’è una direzione che va dall’albero a me. E poi c’è il fatto che io sono proprio lì. Quando siamo nelle situazioni e ci vediamo vedere, siamo dentro una triade. E se siamo consapevoli di questa triade, vuol dire che siamo nel momento”.
In questo senso, quindi, diventa fondamentale essere nel presente, esserci. Dedicare all’opera il proprio tempo. Perché “l’opera ti chiede di stare lì. Se uno comincia a ragionare pensando ai rapporti tra opere, si entra in un sistema intellettuale di riferimenti e non si apprezza neanche l’opera. A Tokyo è stato calcolato che il tempo medio che le persone passavano davanti a un’opera era di 15 secondi. Uno legge il titolo, guarda l’opera, e poi si sposta sull’altra. Questo non è fare esperienza dell’opera. È niente, no? È un consumo”.
“Io stesso sono stato alla Tate di Londra e ho avuto una grande delusione, perché tutti correvano. Non so dove corressero, ma correvano”, ricorda Salvador. “Invece, alla National Gallery: piena di persone, ma tutti molto ordinati, attenti. Guardavano le opere. Perché? Perché c’era il tempo, il valore del tempo. Allora, ecco: bisogna riflettere anche su queste cose. Se uno vuole fare esperienza dell’opera, deve porsi in un certo modo. Questo è il senso dell’osservatore rispetto alla propria esperienza: nel luogo dove l’opera vive, dove l’opera si pretende”.
“Ebbene – prosegue – tutte queste figure che vedete rappresentate sono viste dal punto di vista di persone con cui ho una relazione speciale. Persone che capiscono il senso di questo lavoro, perché capiscono che per dare attenzione ci vuole tempo. Che questa imperturbabilità ha un valore, rispetto alla pressione esistenziale che viviamo, che non ci permette di essere vigili nel nostro vedere”.
Significativo, quindi, anche il dialogo con l’esterno attraverso le finestre su Piazza Duomo. “Questo confronto continuo è stato molto forte, molto vivificante. Perché emergono anche punti di vista inediti. Generalmente, il Duomo lo percepiamo come un blocco. Qui, invece, ci sono tanti dettagli , e sono mirabili. Ho apprezzato molto questa corrispondenza”.
Avviandosi a fine esposizione, troviamo Alfabeto 2013 (2016), con sette elementi in piombo, stagno, rame, ferro, mercurio, argento e oro, e Triade 1989, con bottiglie in bronzo unite da un tubicino di rame, esplorano simbolismi complessi. Stella (2017), un tavolo in vetro e rame, invita il pubblico a interagire, mentre Ecce homo (1985), in acquerelli e rame, chiude il percorso con Stanza delle tazze 1986 (1991). Qui si aggiunge l’elemento musicale, in dialogo con un pianoforte suonato da Sandro Mussida durante l’inaugurazione (15 luglio) e il 9 settembre, data in cui verrà presentato il catalogo ufficiale.
Spazio, suono e vista si incontrano, dunque, amplificando l’esperienza del visitatore quasi che ogni sala diventa un’estensione dello studio dell’artista, invitando a un esercizio partecipativo e vivo, presente. Per un’esperienza totale.
Immagini da Ufficio Stampa / In copertina: Remo Salvadori, Germoglio, dodici pietre, 1988 (2000), Nel momento, 1974 (2025), Lente Liquida, 1998 (2024), Germoglio, 1988. “Remo Salvadori”, Palazzo Reale, Milano. Foto © Altopiano