La nuova IVA al 5% per le opere d’arte divide l’opinione pubblica. Per Riccardo Freddo (Galleria Rosenfeld) è invece un’occasione storica: «Meno tasse, più mostre, più opportunità». Ecco cosa può cambiare davvero per il sistema artistico italiano.

Negli ultimi giorni, nel mondo dell’arte (e non solo) ha creato dibattito il nuovo DL Economia (DL 95/2025, per la precisione) che – tra le altre cose – prevede l’applicazione dell’IVA al 5% per le opere d’arte. Un’IVA agevolata (trattata dall’articolo 9) che riguarda, in particolare, il commercio di oggetti d’arte, antiquariato e per i beni da collezione (rientrano nella categoria anche francobolli e monete antiche): dal 22% il decreto riduce l’IVA al 5%, una delle aliquote più basse in Europa.

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Una decisione che ha fatto discutere sia gli addetti ai lavori che l’opinione pubblica. Noi ne abbiamo parlato con Riccardo Freddo della Galleria Rosenfeld, di base a Londra.

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L’aliquota IVA applicabile agli oggetti d’arte scende del 5%: è la notizia di cui si parla da giorni, tra bene e male. A tuo parere, cosa cambia effettivamente?
«Finalmente l’Italia si allinea – o meglio, si posiziona in vantaggio – rispetto ad altri paesi europei, come la Francia, che finora era il principale punto d’accesso per l’importazione d’arte nel continente, proprio grazie alla sua aliquota agevolata del 5,5%. Ora quel ruolo può essere assunto dall’Italia, che ha dalla sua non solo una nuova fiscalità favorevole, ma anche un rinnovato dinamismo sul piano museale e istituzionale».

Quale categoria a tuo parere verrà maggiormente influenzata da questo cambiamento: collezionisti, galleristi, artisti?
«Io lavoro molto con l’Italia e ho sempre creduto che il sistema artistico italiano avesse bisogno di una leva concreta per incentivare investimenti, scambi internazionali e nuovi collezionismi. Questa manovra è un primo passo importante. Cambierà sicuramente le dinamiche per i galleristi come me, che operano tra Londra e l’Italia, non solo da un punto di vista finanziario ma anche culturale, meno tasse d’importazione, più mostre! Inoltre, i collezionisti beneficeranno subito della riduzione dei costi di acquisto, ma anche gli artisti trarranno vantaggio, perché un mercato più vivo crea più vendite, più attenzione e più opportunità di visibilità».

Un mercato più vivo, soprattutto per chi all’estero lavora con aliquote più alte: nel Regno Unito è al 20%. Cosa cambia effettivamente dal tuo punto di vista, visto che sei di base a Londra?
«Da Londra, questa manovra si percepisce come un’occasione concreta per tornare a investire in Italia.
Il Regno Unito applica un’IVA del 20% e, dopo la Brexit, è diventato molto più complicato e costoso importare o esportare opere. Ora, per un gallerista internazionale, è logisticamente e fiscalmente più vantaggioso produrre, vendere e importare da/per l’Italia. Questo cambierà anche la geografia delle fiere, delle collaborazioni e della programmazione istituzionale».

Sui social la misura viene criticata come favore ai ricchi. Gli addetti ai lavori invece festeggiano. Cosa ne pensi e come descriveresti, a chi non si intende di arte, questa manovra? È davvero così elitaria?
«È un fraintendimento. L’arte viene spesso associata solo al lusso e all’alta società, ma il sistema dell’arte è fatto di tante professionalità, di artisti che vivono con redditi modesti, di gallerie indipendenti, di curatori, trasportatori, tecnici, restauratori. Questa misura non è un favore ai ricchi, ma un incentivo per sostenere tutta una filiera culturale e produttiva. È come abbassare le tasse a una piccola impresa: significa dare respiro, permettere di crescere, di reinvestire, di creare lavoro».

C’è il rischio che questa misura favorisca solo il mercato di fascia alta? Oppure può realmente incentivare anche le gallerie emergenti e gli artisti indipendenti?
«Può e deve favorire anche le gallerie emergenti. Anzi, sono proprio loro che potranno trarne il maggiore vantaggio in proporzione. Perché una galleria giovane, con risorse limitate, risente in modo molto più diretto della fiscalità. Se il costo finale di un’opera cala, sarà più facile venderla. Se l’importazione costa meno, sarà più facile invitare artisti internazionali. La riduzione dell’IVA rende il sistema più agile e accessibile anche per chi non opera in fasce alte».

⁠In Italia credi che questa misura possa incoraggiare un ritorno delle opere espatriate o attrarre collezionisti stranieri?
«Assolutamente sì. Già adesso si nota un crescente interesse per l’Italia come piattaforma culturale e produttiva. Questa misura, insieme alla qualità crescente delle mostre istituzionali italiane, può spingere molti collezionisti stranieri a tornare a comprare in Italia, o persino a stabilire qui le loro collezioni. È anche un incentivo per far rientrare opere italiane che erano state portate all’estero per motivi doganali o fiscali».

Questa misura può essere il primo passo verso una riforma più ampia del rapporto tra Stato e cultura in Italia? Oppure è solo una parentesi utile per il mercato, ma senza visione sistemica?
«Voglio essere ottimista e pensare che sia il primo passo verso una visione più strutturata.
Il fatto che lo Stato riconosca l’arte come un settore economico da incentivare è un segnale forte. Ma ora serve continuità: politiche culturali coerenti, sostegno alla produzione artistica, agevolazioni per le gallerie e investimenti nei musei contemporanei. Se resta un episodio isolato, avremo perso un’occasione storica. Ma se si inserisce in una visione più ampia, può cambiare davvero il futuro del sistema dell’arte in Italia».

In conclusione?
«Oggi credo ancora di più nell’importanza di investire in progetti istituzionali e museali in Italia. Non solo per il valore culturale che questi progetti generano – accessibile a tutti, e fondamentale per costruire un’identità contemporanea forte – ma anche perché questo cambiamento fiscale crea finalmente un terreno favorevole per collezionare, fondare istituzioni private, partecipare a fiere d’arte e, in generale, sostenere il sistema. Le persone si sentono più motivate ad agire concretamente, a comprare, a creare fondazioni, a prendere parte al dibattito culturale. In questo senso, la riduzione dell’IVA può diventare un motore reale per una nuova stagione dell’arte in Italia, più aperta, più internazionale, ma anche più radicata nel proprio territorio».

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