Dai borghi italiani ai musei internazionali: l’obiettivo di Riccardo Freddo è creare nuove esperienze d’arte contemporanea in contesti storici. Ecco il suo progetto.

Da Seattle a Roma, fino a Stanford e la Sorbona: Riccardo Freddo – dopo aver viaggiato in lungo e largo – ha deciso di portare in Italia artisti internazionali che possano dialogare, attraverso l’arte contemporanea, con le bellezze storiche tutte nostrane.

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Ora di stanza a Londra, Riccardo Freddo collabora infatti con la Rosenfeld Gallery: «Sono il Museum Institution Liaison della Galleria Rosenfeld. – ci dice – Praticamente il mio ruolo è quello di avere relazioni istituzionali, creare show museali, e così via». E – proprio in collaborazione con la Rosenfeld – ha organizzato due appuntamenti in Italia: la mostra Post-Apocalyptic Bloom di Keita Miyazaki a Gradara (PU) e Herbert Golser con Materia alla Rocca Paolina di Perugia.

Dai viaggi all’arte contemporanea: il percorso di Riccardo Freddo

Una passione che ti accompagna da sempre quella dell’arte, insomma.
«In realtà da piccolo non sapevo bene quello che volevo fare, ma sono sempre cresciuto circondato dall’arte. Mio zio è un architetto famoso romano e i miei hanno sempre avuto la passione dell’arte. Ho sempre avuto intorno opere e sculture, ho sempre avuto interesse. Poi ce l’abbiamo anche un po’ nel sangue, perché Renato Mancia fa parte della mia famiglia. Ha scritto il primo libro per il restauro delle opere antiche ed è stato anche colui che ha fondato l’Istituto del restauro di Roma e di Milano».

Poi hai scelto di concentrare i tuoi studi su questa passione.
«Sì, ed è stato importantissimo per capire un po’ come funzionava quel mondo, l’economia, la finanza. Il mio obiettivo è quello di avere una vita interessante, perché sono una persona molto curiosa. Mi piace circondarmi di persone che siano come me e il mondo dell’arte ovviamente è pieno di questi personaggi. Critici, collezionisti, artisti sono tutte persone interessanti che ti rendono la vita interessante».

L’obiettivo: portare artisti internazionali nei borghi italiani

Ora sei tu che fai conoscere artisti a noi. Come nasce questo progetto?
«È importantissimo. L’idea è quella di portare artisti internazionali appunto in Italia, perché secondo me l’Italia è veramente la cornice più bella per quanto riguarda l’arte contemporanea. Piccoli borghi, musei pazzeschi… Sono stato fortunato perché quest’anno ho avuto la possibilità di collaborare con varie istituzioni, abbiamo organizzato più di 10 show museali, tra cui il prossimo che sarà quello al Marv con Keita Miyazaki, un artista giapponese. La sua arte riguarda la filosofia wabi-sabi, questa idea di bellezza non perfetta. Vorrei che i giovani abbiano l’opportunità di conoscere artisti contemporanei in un ambiente un po’ più dinamico».

Herbert Gosler

Immagino che Londra in questo sia un grande esempio.
«Vivendo lì, mi rendo conto che c’è un opening ogni giovedì, ci sono gallerie, tanti musei, mentre in Italia non c’è ancora questa grande opportunità. Se c’è, non mostrano ciò che hanno al di fuori. Il mio obiettivo è quello di portare moltissimi artisti interessanti proprio in Italia. Loro sono molto appassionati, chiunque arriva qui è interessato, affascinato dall’Italia e dal contesto italiano. Un artista contemporaneo internazionale che riesce a mostrare le proprie opere nel contesto italiano è un arricchimento sia per l’artista che per la cultura italiana e per i nostri viewer».

Il dialogo tra arte contemporanea e contesti storici secondo Riccardo Freddo

Perché secondo te questo dinamismo non è replicabile in Italia?
«Per vari motivi. Innanzi tutto, dal punto di vista burocratico, in Italia è molto più complicato. Parlo banalmente di tasse. Quando compri un’opera d’arte in Italia, anche proprio dal punto di vista economico, sono molto più alte le barriers to entry rispetto a Londra. E poi noi siamo nati veramente circondati dalla bellezza. E quindi siamo un pochino chiusi nell’accettare qualcosa di diverso, di nuovo. Per un italiano è complicato concepire una tela bianca di Ryman, per esempio».

Tu quest’arte contemporanea la stai portando proprio in luoghi esteticamente classici. Una commistione è quindi possibile tra fascino italiano e queste opere?
«Io sono umbro e affascinato dagli anni ’60 in Italia. Il Festival dei Due Mondi a Spoleto, per esempio, negli anni ’60 e ’70 era il place to be per quanto riguarda l’arte contemporanea. Ha ospitato artisti come Cy Twombly nel 1980, Andy Warhol, Alexander Calder. L’opera pubblica più grande mai fatta da Calder si trova proprio nella stazione di Spoleto. Mi piace l’idea di avere grandi artisti contemporanei in piccoli borghi e creare una experience. Pensare Devo andare là non solo per vedere il piccolo borgo, ma anche per vedere un’opera che è stata fatta per quel borgo. Un Joseph Beuys che crea una performance alla Rocca Paolina per me è bellissimo».

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Vuoi ricreare un po’ quel contesto?
«Voglio riportare un po’ in auge l’eleganza e la cultura degli anni ’60 in Italia, perché eravamo veramente il top del top. Artisti di tutto il mondo avevano capito quanto importante e quanto bella fosse l’Italia, quanto belli fossero i nostri borghi. E venivano qua proprio per creare questi festival pazzeschi, dove c’era questo incontro di culture. Non solo arte, ma anche jazz. Penso ad esempio all’Umbria Jazz di Perugia. Musica, arte, teatro, scultura, architettura. Siamo andati all’Istituto del Giappone ieri a Roma ed è un’opera meravigliosa fatta nel 1962, un incontro pazzesco tra varie culture. La mia idea è quella di poter riportare l’arte in questi piccoli borghi, che ti dia la volontà di visitarli per poi vivere una real art experience». 

materia rocca paolina

I progetti in Italia: da Keita Miyazaki a Herbert Golser

Raccontami un po’ degli artisti internazionali che stai portando in Italia. Cosa ti ha colpito di loro?
«Keita Miyazaki è molto bravo. Tutte le sue opere sono sculture molto riconoscibili, perché non esiste un artista contemporaneo che fa opere simili. Lui prende gli scarti di auto e usa la carta per far sbocciare queste sculture. Keita è stato molto toccato da quello che è successo in Giappone, dallo tsunami del 2011, e ha visto quanto la natura sia invincibile in confronto all’uomo. Il Giappone è considerato uno dei paesi tecnologicamente più sviluppati dal punto di vista automobilistico. Sono tra i primi al mondo, lì è molto importante la cultura dell’automobile. Lui ha trovato questi pezzi di macchina, li ha uniti insieme e poi ha deciso di farli sbocciare, prendendo ispirazione della antica tradizione degli origami».

E poi c’è Herbert Golser.
«È un artista viennese veramente molto interessante. Ho deciso di creare questo dialogo tra Golser e la Rocca Paolina, uno dei monumenti più importanti di Perugia. È come fare un’esibizione dentro il Colosseo. La Rocca Paolina è del 1400, davvero unica. Quando entri, è come sentirsi nel Medioevo perché le luci, i materiali sono rimasti fermi al 1500, 1400. È stata anche molto importante per performance di artisti come Joseph Beuys, ma anche per un artista contemporaneo, uno dei più importanti al mondo, soprattutto come maestro dell’arte povera: Alberto Burri. La Rocca Paolina ospita la sua scultura più grande, esclusa quella di Gibellina: Il grande nero. È fatta di una materia molto pesante, il ferro. Lo show di Golser si chiamerà Materia proprio perché il legno di Golser e il ferro di Burri riescono a dialogare tra di loro».

Un dialogo tra due artisti, insomma.
«Per questa mostra mi sono ispirato a quella alle Terme di Diocleziano di Tony Cragg. Mi piaceva tantissimo il contrasto di queste opere con le Terme di Diocleziano. Io però sono umbro e a Perugia abbiamo una un palcoscenico meraviglioso che è appunto la Rocca Paolina. E mi piaceva l’idea di invitare Herbert Golser a mostrare le sue opere estremamente delicate di legno. Sarà una proposta molto minimale nelle stanze della Rocca, con opere messe come in un labirinto, ma in modo molto etereo. Il visitatore ha la possibilità di circondare le opere perché una scultura va ammirata in modo diverso rispetto a una un quadro. C’è la tridimensionalità. Bisogna perdersi nell’opera. E poi c’è il tema della spiritualità: la Rocca buia, con luce filtrata, e queste opere che accompagnano il viaggio. È anche un itinerario spirituale».

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Il futuro dell’arte è collaborazione

Credi molto nel dialogo e in un mondo apparentemente senza confini, soprattutto ideologici e culturali?
«A me piace molto il dialogo con il contesto. Per me è importante che l’opera diventi culturalmente interessante. Quando viene esibita in un contesto particolare, crea un dialogo che potrebbe essere distruttivo – come quello di Keita Miyazaki – ma in realtà non lo è. Nel caso di Golser, è un dialogo tra vari materiali: il ferro, la roccia e il legno». 

Stai eliminando anche le barriere geografiche.
«Amo viaggiare e credo che nel viaggio ci sia tanto arricchimento culturale. Ho iniziato a viaggiare quando avevo 15 anni, quindi secondo me è importante dare la possibilità a chi non può farlo di conoscere ciò che è al di fuori di un piccolo borgo. Gradara stacca circa 500mila biglietti ad agosto, quindi è un borgo conosciuto. Io punto però ad aiutare giovani, ragazzi e ragazze, che a 13 anni si vogliono avvicinare all’arte e vogliono conoscere anche artisti internazionali. Il mio lavoro è veramente dedicato alla prossima generazione di appassionati d’arte».

Non credi che sia l’unico futuro possibile dell’arte, la commistione?
«È il futuro di tutto, non solo dell’arte. La collaborazione, che sia tra artisti e istituzioni importanti o tra artisti e musei, porta in sé il dialogo. È realmente Il futuro dell’arte, ma anche il futuro dell’arte intesa come teatro, performance, a 360 gradi».

Keita Miyazaki

Una sfida che vale la pena affrontare

Quali sono le sfide più stimolanti di tutta questa avventura?
«Sicuramente la parte burocratica, perché purtroppo è complicato. Però è anche vero che, essendo italiano, riesco a navigare meglio nella nostra burocrazia rispetto a un curatore o un organizzatore di mostre esterno. La verità, tuttavia, è che ho conosciuto persone veramente stupende, che hanno proprio una voglia grande di creare e di dare la possibilità a tutti di essere presenti alle mostre. Sono persone realmente appassionate, interessate, a cui serve magari una spinta, un mezzo».

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