In occasione della mostra ‘In luce l’oscurità volgendo’ abbiamo incontrato Marzia e Daniela Banci. Il loro lavoro trasforma l’arte orafa in un linguaggio narrativo potente e profondo

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Quando si parla di arte orafa, siamo portati spesso a pensare ai gioielli di alta oreficeria che vediamo nelle vetrine dei negozi. Il lavoro delle sorelle Marzia e Daniela Banci è tuttavia una forma d’arte a tutti gli effetti, lontana dalla produzione industriale di monili in serie. Come uno scultore modella il marmo o un pittore dipinge sulla tela, le Banci lavorano metalli preziosi e gemme in modo completamente artigianale, plasmando ogni pezzo senza stampi predefiniti, ma lasciandosi guidare dall’ispirazione e dall’ascolto della storia che vogliono raccontare.

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Un approccio che è emerso chiaramente nella loro recente mostra In luce l’oscurità volgendo tenutasi al Museo de’ Medici di Firenze. Qui hanno reinterpretato le figure dei duchi di Urbino, attraverso spille, collane e altri manufatti che non solo raccontano la gloria di queste illustre figure, ma anche le ombre e le complessità delle loro vite.

Un progetto che, come racconta Marzia Banci ai nostri microfoni, ha richiesto tre anni di ricerca. Un viaggio nel tempo per far emergere personaggi che – dopo la figura di Federico da Montefeltro – sono caduti nell’oblio, ignorati spesso anche nei loro stessi territori marchigiani.

Intervista a Marzia e Daniela Banci

«Essere orafo significa scendere in miniera – racconta Marzia Banci – non solo perché i nostri materiali vengono dalle viscere della terra, ma perché anche noi ci addentriamo in qualcosa per trovarne la parte preziosa. Così attraverso l’analisi di dipinti e fonti storiche, ho cercato di guardare gli occhi di queste figure, di immergermi nelle loro vite e riportarle in superficie attraverso il metallo, come fossero un minerale prezioso che torna alla luce».

Daniela Banci ha invece esplorato il dialogo tra passato e presente, tra il silenzio dello studiolo del Palazzo Ducale ad Urbino e la contemporaneità, realizzando collane che richiamano i grandi volumi della cultura classica riletti con un linguaggio moderno fatto di simboli e riflessioni profonde.

«Lavorare il metallo – spiega Daniela Banci ai nostri microfoni – è per me un modo per unire passato e presente, tradizione e innovazione, come un dialogo ininterrotto che attraversa i secoli».

Nonostante lavorino insieme da molti anni e condividano lo stesso lavoratorio ad Abano Terme, le sorelle Banci mantengono una forte identità artistica individuale. Ciascuna ha il proprio linguaggio, le proprie tecniche, il proprio rapporto con i materiali e le storie che vogliono raccontare. Questo rispetto reciproco per l’unicità dell’altra rende il loro sodalizio potente e affascinante.

Nella mostra fiorentina, il pubblico ha potuto ammirare non solo l’abilità tecnica e la sensibilità artistica di Marzia e Daniela Banci, ma anche la loro capacità di far risuonare le voci del passato attraverso l’oro, l’argento, le gemme preziose e i quarzi, dando vita ad opere che sono antiche e moderne, personali e universali, intime e monumentali. Creazioni che non sono semplici gioielli, ma vere e proprie sculture da indossare, capaci di raccontare storie profonde e complesse proprio come quelle dei duchi e della duchessa a cui si sono ispirate.

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