Niccolò Fabi racconta ‘Libertà negli occhi’, tra laghi ghiacciati e paesaggi innevati: ispirazioni e sonorità figlie di (nuove) verità.

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Libertà negli occhi – il nuovo album di Niccolò Fabi – nasce nel contrasto tra i paesaggi innevati del Lago dei Caprioli di Pellizzano (TN) e l’anima corale di un gruppo di artisti. Niccolò Fabi, Emma Nolde, Alberto Bianco, Roberto Angelini, Cesare Augusto Giorgini, Filippo Cornaglia e Riccardo Parravicini si sono infatti ritrovati in pieno inverno chiusi in una baita e hanno dato vita a un approccio creativo che ha poi prodotto queste tracce. Sono canzoni figlie di nuove (o forse antiche) consapevolezze, di una penna che non punta più a stupire, ma che piuttosto vuole raccontare.

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«Le canzoni – ci dice subito Niccolò Fabi – sono un oggetto artistico adatto a raccogliere l’esuberanza emotiva della gioventù. Hanno confini molto precisi, piccoli. Durano poco, hanno poche parole a disposizione. A un giovane si perdonano la retorica e la banalità insita nella canzone, che deve sintetizzare in modo brutale. All’adulto non si perdonerebbe il fatto di essere troppo retorico. Ci sono forme d’arte più adatte per raccontare l’anzianità».

Eppure, la prima traccia – Alba – contiene una sola frase (Io sto nella pausa che c’è tra capire e cambiare), già di per sé il ritratto di un equilibrio precario, di chi ancora cerca una tensione narrativa. «È la mia canzone preferita. – dice Niccolò – È nata suonando, improvvisando su un giro armonico. Fuori nevicava. Avevo questa frase scritta sul telefono e ho provato ad appoggiarla su una musica. Ha acquisito un grande senso. È il tipo di canzone che un adulto può fare con libertà, in cui dici poche cose che ti mettono in comunicazione con la dinamicità. Stare tra una cosa e l’altra significa non aver deposto le armi. La curiosità è l’obbligo e dobbiamo consegnare ai ragazzi la sensazione di essere in movimento dal punto di vista del pensiero».

Niccolò Fabi: i paesaggi innevati di Libertà negli occhi

La neve, i paesaggi bianchi del Trentino, il gelo campeggiano sulla copertina dell’album ma permeano l’intero progetto come un mantello.

«La paesaggistica, al di là dell’aspetto fotografico, è anche un modo per dare un luogo a qualcosa che sarebbe stato diverso se non fosse stato vissuto lì. – dice in proposito il cantautore – L’atmosfera della montagna da sempre mi regala emozioni forti e di protezione. Non la collego tanto allo sci e al divertimento, ma più alle passeggiate estive e a quella sensazione di protezione della neve che attutisce il sonoro. Ti senti più vicino agli altri esseri umani che la frequentano con te. È stato determinante avere una vetrata di fronte a un lago ghiacciato. Da sempre sono innamorato e sedotto da queste sonorità, penso ai Sigur Rós che suonano in modo profondamente legato a questi orizzonti bianchi di fronte a sé. Anche Alba nasce su un giro di chitarra che voleva essere in sintonia con quel tipo di atmosfera».

E, in fondo, cosa e quanto cambia tra l’ispirazione di «un ragazzo» e quella di «un anziano» (per citare proprio Niccolò Fabi)? «Sono testi di un quasi sessantenne. – risponde l’artista – Non gioco a raccontare altro. Parlo di cellule più che di pensieri. Nessuna Battaglia è forse la canzone più pesante, anche se il finale è leggero. Ha una delle classiche code strumentali che provano ad aggirare un pochino la telecamera e offrire un altro aspetto. Il racconto è legato all’accettazione di come si è e anche delle nostre malattie: la dedico a chi sta intraprendendo un percorso di cura e di convivenza con una parte del corpo che dà problemi. È un richiamo a vivere la condizione come un’evoluzione della propria forma senza mettersi l’elmetto».

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Racconti intimi, che «nascono nella solitudine più spietata con la volontà di mettermi in una cantina con quattro amici». «Una rielaborazione collettiva», che parte però proprio da suggestioni giovanili. Come il Dolce Stil Novo, che – in «un lungo periodo, per studi universitari, ho passato a studiare». «Non scriveremmo mai più canzoni d’amore del genere. – dice Fabi – E poi, devo dire che il cinismo non è proprio presente in me. Probabilmente ho tante malinconie, ma cinismo e rabbia sono linguaggi che non conosco. È una componente amorosa, perché tra le mille definizioni dell’amore non possiamo negare che sia sempre generativo di qualcos’altro».

Foto di Arash Radpour

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