Arte, ricerca e pratica: Valeria Szabó Facchin ci racconta la mission di Studio Expanded e la sua filosofia.
«L’arte salverà il mondo, soprattutto se è impegnata»: Valeria Szabó Facchin, ex direttrice della Nicoletta Fiorucci Foundation, riassume con queste parole la mission di Studio Expanded, da lei fondato. Agenzia artistica con base a Londra, lo Studio ha da poco inaugurato con la mostra Poetry is Speechless Before You di Himali Singh Soin, dal 3 al 13 ottobre (10 Greatorex Street).
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Un nuovo modello di ecosistema artistico – questo è ciò di cui Studio Expanded vuole farsi portavoce – che riesca anche a proteggere gli artisti stessi, permettendo loro di crescere e di accedere a una rete di connessioni culturali. «Studio Expanded è nato in maniera organica dagli artisti. – ci racconta Valeria – Ero la direttrice della Nicoletta Fiorucci Foundation. Durante la pandemia, Nicoletta ha avuto la necessità di rivedere l’organizzazione e le priorità, perché i tempi non erano dei migliori. Le istituzioni, soprattutto in Europa, hanno problemi finanziari e la Fondazione voleva focalizzarsi sull’elemento filantropico».
La nascita di Studio Expanded
Il lavoro di Valeria Szabó Facchin, in quel periodo, consisteva nello scoprire gli artisti e «portarli alle grandi istituzioni». «Era interessante – commenta Valeria – perché era come essere un incubatore per gli artisti. Nell’arte non è comune, succede molto nel tech. È stata un’esperienza meravigliosa». Tra i progetti seguiti da Valeria in quel periodo spiccano Invisible Pompeii di Sissel Tolas (in occasione di Pompeii Commitment): un ottimo esempio di come si possa «consolidare la pratica dell’artista e offrirgli l’accesso a una rete di contatti».
Poi, continua Valeria, «la vita ha preso il sopravvento, ho avuto una bambina e viaggiare era complicato. Sono entrata in maternità e mi sono presa un periodo di riflessione. Ho iniziato a farmi domande sul mondo dell’arte, che è particolare, chiuso, inaccessibile. Notavo che, anche se si parla di sostenibilità ambientale e finanziaria, i fatti sono altri. Soprattutto lavorando con collezionisti di un certo tipo te ne rendi conto. Il mio approccio, invece, è molto operaio. La sostenibilità per me è anche finanziaria: non trovo eleganti le spese non giustificate».
Nel mentre, ci spiega la fondatrice di Studio Expanded, sempre durante la pandemia stava avvenendo un fatto quantomeno curioso: «Gli artisti lasciavano le gallerie e chiedevano a me di rappresentarli aprendo una galleria. Necessità fa virtù ed è nato Studio Expanded. Ho iniziato ad operare come manager. Del resto, ho un background come curatrice e produttrice, anche se sono sempre stata l’underdog». «È iniziato tutto non sapendo bene cosa volesse essere – dice Valeria – perché gli artisti mi facevano richieste. Mi sono però resa conto che mancava una figura che lavorasse a monte con gli artisti. Che li aiutasse a navigare le sfaccettature: cosa che le gallerie purtroppo, al momento, non hanno più la possibilità di fare perché devono concentrarsi sulle vendite».
In questo senso, Studio Expanded si occupa di nurturing, ascolta l’artista e capisce quali sono i partner da chiamare a raccolta. «Sento dagli artisti che non si fa più questo lavoro. – dice Valeria – Io ho avuto la fortuna di avere come mentore Lia Rumma che mi ha segnato. Penso al suo lavoro con l’Arte Povera, se c’è un artista che fa performance va documentato in modo diverso. Vanno comprese le possibilità di risorse nel costruire la carriera di un artista in modo solido e sostenibile. Soprattutto, bisogna farlo sentire protetto, perché questo è uno dei problemi del mercato. Per avere ritorni facili, le gallerie prendono artisti giovanissimi dalle Accademie. Sono artisti che non hanno una pratica consolidata. Portarli alle stelle nel mercato secondario vuol dire bruciare la carriera di un 25enne. E a 50 anni poi cosa farà?».

Per quanto poi gli artisti siano in generale allergici al concetto di commerciale, Valeria sottolinea che «non c’è nulla di male nella pecunia. Può aiutare lo studio a crescere, ma bisogna farlo nella maniera giusta. Io lavoro creando campagne intorno a specifici momenti dell’artista, così che riesca a consolidare la sua presenza».
Gallerie Sonore: il progetto con Davide Boosta Dileo
Gallerie Sonore è un nuovo progetto performativo di sound art che darà voce e suono alle opere d’arte, traendo ispirazione dalla collezione artistica della Banca Intesa Sanpaolo. Boosta è stato coinvolto in un meticoloso lavoro di ricerca tra le collezioni di Intesa Sanpaolo e l’Archivio Publifoto visitando le quattro sedi di Gallerie d’Italia – Milano, Napoli, Torino e Vicenza – e selezionando alcune specifiche opere pittoriche, scultoree e fotografiche.
Le opere e i musei stessi sono così diventati vera e propria fonte di ispirazione per la composizione di quattro opere musicali, dedicate a ciascuna sede, che saranno presentate al pubblico nell’autunno in quattro concerti live in programma alle Gallerie d’Italia. Un vero e proprio Tour che prenderà il via da Vicenza il 10 ottobre, dove arte e musica si fondono e l’artista interagisce con il pubblico in un costante dialogo. Le tappe successive saranno Napoli (25 ottobre), Torino (29 ottobre) e Milano (22 novembre).

«Davide è stato un incontro casuale. È una persona super curiosa e molto umile. – ci racconta Valeria Szabó Facchin – Ho veramente piacere che le persone possano vedere la sua umiltà, non è una star icon, segue i consigli che riceve. Per me è il Brian Eno italiano, ma in Italia si vive tanto di tassonomie mentre all’estero c’è più interdisciplinarità. Davide ha tanto da dire». Secondo Valeria, il dono di Davide Boosta Dileo è la «sinestesia: vede un’immagine e riesce a codificarla in suono. Lui non si rende conto di avere questo talento, un po’ come Kandinsky in Punto, linea, superficie. Lui guarda un Burri e già trasforma l’elemento visivo in percezione sonora». Di fatto, Boosta ha operato un processo di sonificazione della collezione, scegliendo quattro opere significative: tra queste La Caduta degli Angeli Ribelli a Vicenza e un’opera di Vincenzo Gemito a Napoli.
«Ha creato queste melodie e farà quattro concerti. – conclude Valeria – È stato un processo bellissimo perché lui non ci mette niente. Il suono è la sua tavolozza. Ha questa necessità viscerale di sedersi al piano e scrivere qualche nota. Non voglio che venga visto esclusivamente come l’artista Boosta, perché è molto di più».
Jakob Kudsk Steensen e l’importanza della multidisciplinarità
Tra gli artisti seguiti da Studio Expanded c’è anche Jakob Kudsk Steensen. «Il ruolo di Studio Expanded è un po’ nomen omen. Il fil rouge dei nostri artisti è che sono tutti attivisti senza volerlo essere. La loro pratica è talmente consolidata nei believes che riescono a mandare fuori il messaggio senza diventare pesanti». Jakob Kudsk Steensen, in particolare, nasce come video gamer e – solo successivamente – ha deciso di provare l’elemento artistico. «Avevo iniziato a lavorare sul concetto di immersività nel 2017 e Jakob era una delle ricerche che avevo fatto. – racconta Valeria – Siamo diventati amici e ora sono la sua manager. È una questione di fiducia e crescita reciproca».

«Jakob – continua – ha questa capacità di portarti in un’altra dimensione. Nel creare ambienti immersivi e naturali non più esistenti, ti fa vedere il naturale in maniera nuova suscitando la volontà di preservare l’ambiente stesso. Dico sempre che Jakob è Walt Disney che incontra George Lucas: è un director, vede lo spazio in 4D, ha progetti lunghi e c’è tanta ricerca. Penso al progetto con ARCA o a quello sui BTS. Si apre all’effetto di altre persone che entrano nel suo lavoro».
Un «comune denominatore», anche questo, degli artisti di Studio Expanded. «Sono artisti – dice Valeria – ma celebrano anche il lavoro degli altri, ed è bello da vedere. L’arte è cultura ed è giusto che il pubblico riconosca queste figure. Voglio consolidare l’immagine dell’artista, in modo tale che anche chi non è un addetto ai lavori riconosca il valore dell’arte. Abbiamo bisogna di dreamers, perché l’arte salverà il mondo ma non in senso effimero. In momenti complicati, servono nuove ideologie e nuove visioni e, quando l’arte è impegnata, ha questo potere. Certo, bisogna discernere tra arte impegnata e arte non impegnata. Io gravito in maniera naturale verso questo tipo di artista. Da storica dell’arte, voglio sapere che un artista porti sempre temi importanti».
Himali Singh Soin
Chiediamo infine a Valeria Szabó Facchin come è nata la collaborazione con l’artista Himali Singh Soin. «Lavoravamo insieme già da tempo. – ci risponde – Per tornare alla multidisciplinarità, lei viene descritta come video maker e performer. Io però vedevo la sua pratica di ricerca, non visibile al di fuori dei contesti museali. È stata una reazione, volevo far vedere che c’era molto di più. Himali poi era in un momento di introspezione personale. Voleva far crescere lo studio, ma non voleva una galleria che la rappresentasse per paura del commerciale. L’ho portata in situazioni in cui si è sentita a suo agio e ha ricevuto la commissione per la Tate Britain. Doveva essere nel 2026, ma abbiamo anticipato al 2025: un evento eccezionale, siamo riusciti ad allineare le istituzioni».

Il lavoro di Himali Singh Soin sarà in due sedi: alla Tate Britain e alla Somerset House’s, e «per capire il progetto nelle sua interezza» bisogna visitare entrambi gli edifici. Il tema è la Grande Siepe dell’India, usata «durante l’Impero britannico per controllare il commercio del sale». «Himali riporta questa storia nelle istituzioni. Tra l’altro Somerset House’s era l’ufficio statale in cui arrivavano i dazi doganali dell’Impero. Lì c’è ancora la Scala del Sale, realizzata dall’architetto Nelson, che porta agli Uffici del Sale e che verrà aperta durante la commissione di Himali. È un momento storico». «Quando un artista è impegnato – chiosa Valeria – la gente esce da una mostra e dice Wow. Credo nella visione degli artisti che hanno qualcosa da dire».
Foto preview: Courtesy of Studio Expanded and the artist. Foto di Fiona Hanson.