Il giovane cantautore di origini napoletane, ma residente a Roma, ci parla del nuovo lavoro e di tutto quello che lo influenza: amore, letteratura, arte e musica in generale.

Il nome d’arte, Degà, è un compendio di quelli che sono i suoi interessi ed insieme un gioco di parole: infatti lascia intendere il suo amore per le arti citando il grande pittore e scultore francese ma, contemporaneamente, tira in ballo una contrazione fra la parola latina de (a proposito di) e il suo vero nome di battesimo, Gaetano. Golden Hour è il suo primo EP disponibile su tutte le piattaforme digitali. Un titolo che emerge in maniera naturale per i suoi molteplici risvolti di significato: dall’atmosfera mistica del tramonto a quella che in fotografia chiamano l’ora d’oro, quando la macchina fotografica sembra, con i suoi scatti, inseguire il sole fino a lasciar spazio alla notte. Il tramonto con la sua innata dote di spingere a delle riflessioni è presente in ogni brano dell’EP, dal più semplice riferimento di Dove finisce il giorno a Murakami e ad altre sfaccettature che invitano l’ascoltatore a sedersi su una spiaggia e godersi lo spettacolo.

Gaetano Marrone (alias Degà) attraverso questo progetto musicale ha voluto soprattutto restituire alla musica il valore che ha avuto nella sua vita, riferendosi a quella che in chirurgia d’urgenza chiamano la golden hour, il periodo di tempo che va da pochi minuti a diverse ore dopo una lesione traumatica causata da un incidente, durante il quale vi è la più alta probabilità che un pronto trattamento medico possa evitare la morte. La musica come terapia, per tornare ad emozionarsi davanti ad un semplice tramonto in spiaggia. Una terapia ancora più necessaria in questo momento in cui mancano la dimensione live ed anche il sostegno dell’industria discografica per la realizzazione di supporti fisici per ascoltare la musica.

Degà

«Mi mancano, ma relativamente – ci ha confidato lo stesso Degà – nel senso che io per anni sono stato spettatore, ho fatto tanta musica, ma live e da solo, accompagnandomi con la mia chitarra. Brani incisi poco e niente. Degà tra l’altro è un progetto nuovo, è nato a luglio dell’anno scorso, quindi ha giusto un anno. Nel mio genere, la musica è suonata, quindi nel momento in cui ci saranno i live sarà inevitabile essere supportato da musicisti, almeno che non si scelga di cantare direttamente sulle strumentali. Ma tralasciando il discorso singolare di Degà, è vero che per la stragrande maggioranza dei cantanti, il supporto umano musicale sta andando via via perdendosi, e questo è un gran male secondo me, perché aldilà della perdita di lavoro per tanti musicisti, c’è anche una perdita al livello emozionale per il pubblico, perché il trasporto che può darti la sinergia di quattro musicisti che suonano, non può essere sostituita dai software di turno. Io spero che sia una moda, e come tutte le mode, ci sia una data di scadenza».

Data di scadenza che non riguarda la musica di Degà, varia nelle sue intuizioni e nelle linee musicali

«Sì nell’EP – aggiunge Degà – ho usufruito di tante ritmiche e mood diversi, funky, chill, ballad e pop-folk. Mi sono fatto un bel giro nel mio mondo fatto di musica, anche se gli strumenti ed i suoni sono gli stessi per ogni brano. Come si è potuto capire non c’è un genere a cui sono legato principalmente, ma mi piace tanto spaziare da una parte all’altra. Di sicuro, ricollegandoci alla domanda di prima, mi piacciono i generi in cui si suona, dove si sente la forza, il cuore e la mano del musicista. Per quanto riguarda gli artisti di riferimento, per la realizzazione di questo EP, ho ascoltato tanta musica, Glen Hansard, un artista irlandese che sto ascoltando molto ultimamente, uno di quelli veri, che canta e suona con il cuore, è presente per esempio in Satellite Vietnamita. Ma ho ascoltato anche tanta musica indie italiana, e poi anche qui gruppi che mi accompagnano da anni oramai quotidianamente, tipo i Coldplay ed i Red Hot Chili Peppers».

Fra le varie composizioni di questo nuovo EP, proprio Satellite Vietnamita colpisce per la sua libertà di schemi.

«Satellite Vietnamita – queste le parole di Degà – è il brano dell’EP a cui sono più legato. Mi sono lasciato trasportare dall’istinto, elemento che dovrebbe essere imprescindibile per ogni artista, ma per via di tante esigenze, tra cui e soprattutto quelle discografiche, viene spesso messo ai margini di un progetto. Nel mio caso è un po’ più semplice, non avendo nessun tipo di contratto con nessuna etichetta ed essendo totalmente autoprodotto, fare quello che mi pare e piace, giusto e sbagliato che sia. Vorrei approfondire e continuare il mio progetto con sulla scia di questo modo di approcciare alla musica, ma ora come ora non saprei dirti per certo cosa farò nel mio futuro prossimo, ma posso dirti con fermezza che continuerò ad osservare il mondo dalla stessa prospettava con cui ho approcciato dalla prima canzone che ho scritto con lo pseudonimo di Degà. Mi piacerebbe molto sperimentare tutto live perché, a causa della pandemia, ho soltanto feedback che mi arrivano da Spotify, Digital Store e Social. Da qualche mese fortunatamente si sta muovendo di nuovo qualcosa per quanto riguarda i live, ed io mi sto muovendo di conseguenza per cercare di mettere in piedi qualcosa nei prossimi mesi, ma per ora è ancora tutto in divenire per me. Comunque qualsiasi cosa sarà comunicata sui miei canali social».

Tanti e rilevanti, poi, riferimenti letterali, musicali e artistici, insieme a riflessioni sull’amore, nei brani di Degà.

«Sicuramente qualsiasi riferimento che ho usato nelle mie canzoni, che sia musicale, che sia letterario, hanno un ruolo molto importante per me, altrimenti non li avrei scelti come compagni da portarmi per descrivere al meglio il viaggio: Golden Hour. Infatti quando si scrive un album, secondo me, è come raccontare un viaggio che si è fatto, e le parole insieme alla musica sono i compagni che ti sei portato con te. Se gli amici sono giusti, allora sei sicuro di raccontare un bel viaggio e far rivivere le stesse emozioni anche all’ascoltatore, se la compagnia non è giusta, così come nel viaggio in senso letterale, non vedi l’ora che finisca tutto e di ritornare subito a casa. Io spero vivamente di essere riuscito a far fare un viaggio non bellissimo, ma diverso dagli altri. L’obbiettivo prefissato era questo. Per quanto riguarda l’amore, credo che per un musicista il rapporto con esso debba essere viscerale, l’amore è la benzina che ti permette di creare musica e fare musica, puoi avere tutto quello che vuoi, una bella chitarra, un impianto della madonna e una voce da paura, ma se tutto ciò non è alimentato dall’amore, la tua musica non si muove, resta ferma li nella tua stanzetta o nel tuo bellissimo studio».

Degà

Avendo vissuto in due città importanti e caratteristiche come Napoli e Roma, Degà ha assorbito da queste elementi che lo hanno influenzato nel suo cammino artistico.

«Bisogna subito precisare che sono due città con un’identità molto forte, quindi se sei nativo di una di queste città, ti porterai per forza di cose, sempre appresso le strade, il diletto, il sole, il modo di fare e tantissime altre cose, che non te le togli da dosso neanche se vivi 10.000 anni dall’altra parte del mondo. Nel mio caso oltre ad essere nato a Napoli, ci ho anche vissuto fino a 26 anni, quindi la mia napoletaneità e le mie radici che affondano in questa terra, sono molto forti, anche se non canto e non compongo musica napoletana. Una cosa curiosa è che seppur parlando sempre in Italiano, penso sempre in napoletano. Questo per rimarcare quanto spesse e radicate siano le mie radici partenopee. Per quanto riguarda Roma, che dire, una città che ti abbraccia e ti accoglie indipendentemente da dove arrivi, frutto della potenza e dello splendore che ha rappresentato nei secoli, e continua a rappresentare Una città che ti fa volare. Ecco, Napoli rappresenta le mie radici e Roma le mie ali. Non mi sono mai dovuto abituare a Roma, era già pronta a ricevermi. Penso che per un’artista – conclude Degà – respirare l’aria di queste due città sia una cosa magnifica, mi ritengo molto fortunato sotto questo punto di vista».