Giovane Feddini ci racconta l’album d’esordio ‘Un Giorno in Meno’ (Dogozilla Empire). La nostra intervista.

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Venerdì 5 febbraio è uscito Un giorno in meno (Dogozilla Empire/Sony Music Italy), il primo album ufficiale di Giovane Feddini sotto la direzione artistica di Don Joe. Anticipato da Dispettoso, Shevchenko feat. Tia e Fuego, il nuovo progetto discografico di Giovane Feddini è una raccolta di 10 brani, tra cui 7 inediti, che fotografano la società e le relazioni di oggi dal punto di vista di un ragazzo che si sta facendo strada ed è partito dal basso per realizzare il suo sogno, tra sacrifici e determinazione. Il flow magnetico di Giovane Feddini scorre sui beat di Ric de Large, Dessa.One, Alexander 808 e RyanairZ, e i testi delle tracce dimostrano ancora una volta la maturità e l’originalità di scrittura dell’artista.

«Da quando è iniziata la pandemia, mi sono messo a lavorare alla musica nuova ed è importante che la mia musica rifletta questa condizione e che aiuti le persone. – ci dice subito l’artista – Il mixtape di quest’estate era molto calmo e cercava di dare serenità. In questo caso il messaggio è molto più forte ed è ispirato dal film In Time, in cui il tempo è una moneta di scambio. Ora con la musica voglio ricordare alle persone la loro umanità».

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Da qui nasce il titolo Un giorno in meno, perché – come ci dice Giovane Feddini – «non va sprecato neanche un giorno, se non per essere felici e fare del bene che porterà altro bene. Lavoro anche su me stesso, perché non sono San Francesco e perdo a calma molto facilmente».

Tra le tracce, emerge soprattutto il contesto di una città come Milano, dove Giovane Feddini si è trasferito a settembre, lasciandosi alle spalle la provincia «molto calma» di Padova. «A Milano la gente sgobba di più. – dice il rapper – Dispettoso e Jetski sono nate quando ho capito che devo correre anche io. Milano su di me ha avuto un forte impatto e mi sono adattato».

Giovane Feddini: il rap, le influenze black e i messaggi sbagliati della musica

Un giorno in meno è un album ricco di influenze, che gioca e sperimenta con la musica senza perdere mai il suo obiettivo. «Sono un cultore della musica e della cultura black, amo la loro estetica e i suoni del reggae, dell’r&b, del soul… – ci spiega Giovane Feddini – Ho cercato però di rimanere me stesso per l’orgoglio da rapper. Ogni brano è una prova di scrittura».

Del resto, i generi più black «sono difficili da portare in Italia. – dice il rapper – Ci sono, ma è difficile che abbiano i riflettori che meritano».

La strada – anzi le strade – di Giovane Feddini però sono chiare.

«Punto da un lato all’autorato e alle melodie. Dall’altro al rap che è da dove vengo. Voglio dimostrare sempre di essere fastidioso e di non lasciare il podio scoperto. Da ragazzino sognavo di essere il rapper più forte di tutti. Ora c’è chi vende un sacco, ma sul podio dei migliori non ci finisce. Alcuni blog mi hanno recriminato che sono i miei brani parlano troppo di rap. In alcune situazioni il nostro genere è una banda di hooligans impazziti. Invece il rap può aiutare le persone e io cerco di difendere il genere».

«I media non chiamano mai i rapper intelligenti, invece tanti hanno qualcosa da dire. – conclude Giovane Feddini – Ma non creano scandalo e non vengono invitati a parlare, parlano quelli che lanciano messaggi negativi e giocano a dare la risposta più fastidiosa. Questo è il mio modo per difendermi. Bisogna invitare meno pagliacci in tv secondo me. Il rap non è essere tosti, ma se vuoi essere tosto ti devi prendere tutte le conseguenze. La mia soluzione a questo è la sovrapproduzione, io macino tanta musica. Registro tantissimo e, anche con l’aiuto di Joe, ho capito quali tracce selezionare».