Andrea Lai tira le somme di ‘Maker Music’, l’evento (quest’anno in digitale) che racconta la musica da un altro punto di vista.

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A dispetto di tutte le complicazioni derivate dal dover trasformare Maker Music in un evento totalmente digitale, lo spazio musicale all’interno della Maker Faire Rome – European Edition 2020 si è rivelato un successo. È la dimostrazione che della musica si possa e si debba parlare a 360 gradi, come sottolinea Andrea Lai – curatore di Maker Music insieme a Alex Braga – che tira le somme di questa prima edizione.

«La risposta di pubblico è stata buona, anche se è stato complicato organizzare il passaggio dal fisico al digitale. – ci dice Andrea Lai – Tutti i maker che hanno partecipato sono stati però molto bravi a traslare la sensazione del toccare in digitale».

«Maker Music ha risentito del passaggio da evento fisico a digitale, ma grazie all’entusiasmo degli artisti si è sentita poco la mancanza del fare musica per davvero. Si è parlato molto e si è condiviso tantissimo. Da una parte è mancato qualcosa, dall’altra la mancanza ha generato uno sforzo di pensiero. Vedere tanti artisti cimentarsi in un racconto al di fuori della loro comfort zone è stato interessante. Hanno parlato di sensazioni e non delle loro canzoni».

Tra gli eventi di maggior successo spicca sicuramente Rap Roulette – lo spazio più di gioco e intrattenimento – tanto da far nascere l’idea di poterlo riproporre anche all’esterno dei confini di Maker Music. In generale, l’esperienza digitale resta sicuramente un bagaglio da sfruttare per l’organizzazione della prossima edizione.

Andrea Lai, Maker Music e il phygital

«Vogliamo riproporre Maker Music mantenendo la parte digital molto accesa. – ci dice Andrea Lai – L’edizione del prossimo anno sarà probabilmente phygital. Se anche dovesse essere solo digitale, ora sappiamo cosa fare. Siamo pronti a qualsiasi cosa. Portiamo a casa comunque la presa di coscienza del fatto che la musica può essere raccontata e va raccontata in un altro modo. Gli artisti hanno un ruolo, non sono solo le nostre colonne sonore. Ed è giusto che parlino, riflettano e contribuiscano a ciò che succede intorno a loro».

«In Italia – conclude Lai – l’artista ha sempre paura di esporsi, ma il pubblico ha reagito benissimo. Personalmente ho capito che i format digitali non sono una toppa, ma un nuovo linguaggio».