Il 28 ottobre è uscito il primo EP di Elasi, ‘Campi Elasi’. La nostra intervista alla cantautrice, che ci racconta il progetto.

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Si chiama Campi Elasi l’EP di esordio di Elasi (per Neverending Mina con distribuzione Artist First), uscito il 28 ottobre. Sei brani che finiscono per creare un mondo sonoro unico e originale, dove melodie colorate navigano su mari tropicali e beat graffianti.

Anticipato dai singoli Valanghe ed Esplodigodi, Campi Elasi è «un luogo di discese di neve calda, strobo sottomarine e vie lattee gonfiabili – lo definisce Elasi – in cui sono andata a rinascere quando sembrava che non mi riuscissi a rialzare».

«In queste canzoni mi sono tirata su di morale da sola, e spero riesca a tirare su anche gli altri» scherza subito la cantautrice, a proposito del progetto che va in realtà oltre la musica e il cantautorato, unendo vari universi artistici che vanno dall’espressione formativa alla sperimentazione sonora.

«Ho fatto un bel mix di suoni, che ho ricercato con leggerezza e meticolosità. In alcuni casi uscivano mentre giocavo, in altri li ho trovati a forza di far ricerca. – ci racconta Elasi – Ho ascoltato generi diversi, c’è tanto funk, tanta elettronica sperimentale e super contemporanea. Ma anche le hit di produttori come Mark Ronson o Tiger the Creator. C’è tutto, dalla nicchia al pop fatto bene che ho studiato sui tutorial di YouTube».

La musica frulla insieme a artisti ispiratori come Kelsey Lu, St Vincent e Fka Twigs, Blood Orange e Thundercat, Sudan Archives e Jungle. A sottolineare la sua curiosità onnivora e la passione per i suoni del mondo, la maggior parte delle canzoni di Elasi contengono l’intervento musicale di un musicista di un diverso Paese (da Singapore all’Armenia, dal Brasile al Mali), con cui la cantautrice ha lavorato in remoto via web.

«Prima ho scritto il progetto. Volevo avere una band a distanza in tempi non sospetti. – racconta Elasi – L’ho scritto nel 2018 e l’ho registrato nel 2019. Ho partecipato a un bando promosso dalla compagnia di San Paolo, che finanzia e sostiene progetti di artisti under 30 che mischiano tecnologia, arte contemporanea e varie forme di espressione. Da lì ho iniziato a cercare tramite passaparola virtuali musicisti da paesi culturalmente e geograficamente lontani. Non è stato facile perché molti non capivano cosa chiedessi o non sapevano la lingua. Alla fine è rimasto lo zoccolo duro, ma è stato complicato il procedimento. Volevo gente diversa da me, che facesse musica tradizionale del loro paese. Il risultato però alla fine mi ha emozionato. La potenza della musica è universale. La musica unisce».

Campi Elasi, le sei tracce dell’EP

Souvenir, che apre l’EP, nasce ad esempio su un beat creato da Mastermaind, intrecciando ricami con la balalaika di Domenico Cambareri e sovrapponendo beatboxing e cori grazie alla co-produzione di Stabber.

«Souvenir è stato il primo esperimento da rapper, ho cantato improvvisando su un beat di Mastermind. All’inizio era molto trap e poi lo abbiamo modificato, adattandolo di più alle mie esigenze».

Esplodigodi è impreziosita da una frase di duduk (strumento tradizionale armeno) di Mekhak Torosian («Ero chiusa in camera a produrre. È nato in modo spontaneo ed è partito un flusso di parole»), mentre in Sentimentale anarchia interviene anche il balaphon del polistrumentista e griot del Mali Moustapha Dembelè («Il brano è nato chitarra e voce quattro anni fa con accordi stranissimi, ma io avevo già in mente un pezzo un po’ funk» dice Elasi).

«Supererrore è una jam tra produttori e Voli Pindarici è nata alla chitarra, anche se sapevo di voler fare un pezzo un po’ house».

Valanghe è una danza liberatoria fuoripista e si arricchisce di canti sufi del maestro indiano Kamod Raj.

«Campi Elasi è un titolo uscito per gioco insieme ai miei amici. – riassume infine la cantautrice – Quest’estate sono impazzita e ho iniziato ad andare a cavallo. I miei amici hanno commentato le foto dei campi definendole Campi Elasi. Questi pezzi sono di rinascita. Sono mondi mentali diventati poi queste canzoni. I Campi Elasi sono i miei mondi, che trovate in questo progetto».

Non solo musica, però. Come dimostra ampiamente il video di Valanghe o la cover dell’EP.

«L’espressione visiva deve essere coerente a come pensavo le canzoni e ai colori che avevo in mente. – ci spiega Elisa – Dovevo rappresentare quel tipo di mood, con immagini e vestiti. Ho fatto vedere a Mysto Studio i miei disegni e da lì mi hanno capito. Mi piace unire la musica all’arte performativa e all’arte visiva».