L’8 maggio è uscito ‘Come conchiglie’, il nuovo singolo dei FASK (Fast Animals and Slow Kids). Ce lo racconta Aimone Romizi.

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Venerdì 8 maggio è uscito Come conchiglie, il nuovo brano inedito dei FASK (Fast Animals and Slow Kids). La band di Perugia – costretta in casa dal lockdown forzato – ha scritto e prodotto la canzone in modo inedito e ha deciso di rilasciarla per seguire l’esigenza del momento. Ne abbiamo parlato con Aimone Romizi.

Ciao Aimone, parliamo di Come conchiglie, ultimo singolo dei FASK arrivato in quarantena. Da quale esigenza nasce?
L’esigenza da cui è nato Come conchiglie è molto personale. Questa quarantena sta colpendo tutti e ognuno ha la propria reazione. Fino a un certo punto per noi è andato tutto bene, poi sono successe cose personali abbastanza serie e avevamo bisogno di trovare un metodo per esorcizzare. Di eliminare le pesantezze e i problemi che avevamo dentro e metterli in un vaso in un angolo, di modo che ne avessimo meno dentro da processare. L’esigenza è stata molto viscerale. Volevamo solo mettere a tacere una parte di noi stessi. Fortuna vuole che facciamo i musicisti e abbiamo sempre ‘dalla nostra’ il fatto di poter mettere tutto in un vasetto specifico, che è la musica. Questo abbiamo fatto, subito e istintivamente.

E come avete lavorato al brano in questa situazione surreale di distanza?
È partito tutto da un riff di chitarra acustica registrato dal chitarrista in casa con una scheda audio pessima. Me l’ha mandato e io, con una scheda audio ancora peggiore, mi sono messo a cantarci sopra nella mia stanzetta. Alcune parti sono distorte e folli, da un punto di vista tecnico. Però abbiamo messo tutto, dai cori agli arrangiamenti. Tutto quello che avevamo nelle nostre case e nel nostro umore. Ci sono parti cantate, urlate e parti rotte nel pianto, ma devo dire che questa condizione di separazione è stata stimolante alla fine. Siamo una band e stiamo insieme sempre. Facciamo le prove insieme e registriamo insieme, quindi era la prima volta che ci trovavamo a registrare senza che gli altri fossero accanto a noi. Eravamo da soli, non succede mai. Abbiamo dato fondo a tutto e in realtà è stato bello. Abbiamo premiato l’istintività. Le cose registrate male ce le abbiamo voluto mettere dentro lo stesso. A volte la magia della musica si basa sugli errori. L’esigenza è stata questa: da una parte la necessità di voler buttare fuori robe in parte improcessabili, e dall’altra, la scoperta del piacere di stare soli e lasciarsi andare ancora di più.

Secondo me si sente molto la sincerità e l’anima di questa canzone, dai dettagli tecnici alla profondità del testo, che è poi lo specchio di questo periodo.
In termini di composizione non mi sono fatte domande, non ho pensato di fare una canzone sul Covid. Anzi, è tristezza su tristezza. È vero che c’è una percezione che rimanda a questo momento, perché il momento è questo ed è evidente che dalla finestra vedo un film apocalittico. È quello che ho in tasca, è quello che accade veramente. Campo con i 4 euro che avevo fatto nel tour precedente. Questo pezzo però si trasforma e diventa la cronistoria di ogni singolo momento che ho vissuto. Ogni frase rappresenta un momento dentro questa casa e queste mura. Come se avessi messo un monolite che da qui ai prossimi 50 anni mi ricorderà sempre questo istante e questo periodo. In realtà è anche una cosa bella. L’ho messo lì, ora c’è. Passeranno gli anni, ma resterà un momento che mi racconterà per sempre.

Quando parlo di sincerità, in effetti, mi riferisco alla fotografia molto cristallina di un preciso stato d’animo reale.
Son contento che hai questa percezione. Se c’è una roba che mi fa paura, è questa tendenza a dover per forza catalogare quello che sta accadendo solo perché tutti lo percepiscono. Non c’era questo intento e volevamo solo parlare di modo da non dover parlare più. Lo slancio è stato questo e sono contento che questo approccio istintivo sia passato. Credo che in questo periodo storico ci sia bisogno di pensare a se stessi nel senso migliore, non per oscurare gli altri. Siamo in una società e dobbiamo ascoltare tutti. Però per capire cosa si sta provando e analizzarsi davvero, non necessariamente per capire cosa stanno provando gli altri. E questo è alla base della necessità di questo pezzo. Non so se qualcuno lo capirà. Cioè lo so perché tanta gente mi ha scritto e ne sono contento, ma non mi sono chiesto se questo pezzo toccasse qualcuno. Me lo sono chiesto nel testo, ma nel testo – alla fine – parlavo di me.

È stata una scoperta per te accorgerti che la musica ancora rappresenta un’ancora di salvezza?
Inizialmente ho vissuto una chiusura. Poi sono successe cose potenti e, se hai una via d’uscita, ti ci aggrappi con tutto te stesso. Io questa via d’uscita ce l’ho. Sono i miei amici e la musica, in cui posso rovesciare robe in maniera libera. Quando suono è come se mi stessi ascoltando senza giudicarmi. Quando arriva un cambiamento così enorme, non credo che un artista riesca a contenersi. Tanta roba esce perché si ha paura di star fermi, ma in realtà quando hai una forte ispirazione e un bisogno reale di musica fermo non ci rimani. Perché con la testa sei lì e la testa frulla. Questa canzone è quella che volevamo far uscire di più adesso, perché ci ha dato una botta. Poi però è stato un fluire di canzoni, abbiamo scritto tantissimo. A un certo punto devi buttare fuori da qualche parte quello che hai in testa, se no impazzisci.

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Del resto se lo strumento per esorcizzare che hai a disposizione è quello, diventa una necessità sfruttarlo.
Per me la musica è alla stregua di una chiacchierata con un amico, del bisogno istintivo di un gelato. Non ha un’importanza assoluta il modo in cui tiro fuori le robe, la musica non è più importante di altre necessità. È importante che ogni persona capisca il metodo attraverso cui staccare. Lo scopo è quello. Io so che con la musica posso farlo e su di me funziona. Trovo un riscontro reale. Non per tutti è così. Bisogna capire cosa ti permette di rinchiudere tutto in un vasetto e avere spazio per altro.

Mi dicevi che il lavoro della band è cambiato. Cosa vi è mancato di più?
Il palco è una mancanza gigantesca ed è un’assenza ancora più gigante visto che stavamo per partire. Eravamo nel mezzo del tour invernale con date incredibili. L’Atlantico, l’Alcatraz, date sold out, doppie date. Era veramente un tour bello, con 12 persone in totale nella crew. Ci stavamo preparando come matti. Suonavamo sei ore al giorno tutti i giorni, come pazzi scriteriati.

Un po’ come la Pellegrini per le Olimpiadi.
Sì, una preparazione atletica. Prima del tour suoniamo per mesi, stiamo attenti a tutto. Avevamo fatto 3-4 scalette diverse per i concerti per poter cambiare sempre. La follia. Puoi immaginare che la mancanza del palco si senta. Sentiamo però molto anche la mancanza fisica degli amici. Noi suoniamo insieme da 10 anni e siamo sempre gli stessi. Ci conosciamo dalle superiori, quindi da sempre. La band sono gli amici con cui hai realizzato il tuo sogno più grande. Quindi ci manca proprio vedersi per una birra e sparare quattro cazzate, sapendo che gli altri sanno quello che stai dicendo perché ci sono sovrastrutture di percezione che rendono più facile parlarsi. Anche solo per avere quella distensione che c’è solo quando sei accanto a una persona che ti conosce.

Mi racconti invece la cover del singolo?
Questa è una storia incredibile. Questo muro è il muro che ho sotto casa. Vivo in una casa colonica divisa in quattro unità abitative, dove ci sono i miei genitori e i miei fratelli. Una casa bella e un po’ bucolica. Io, da sopra, vedo da sempre questo terrazzo col muro. Ci giocavamo da bambini, ma è stato sempre un muro inutile. All’inizio della quarantena, le figlie di mia sorella hanno iniziato a disegnarci dei fiori e mia mamma, come una pittrice inconsapevole, ha ridefinito i loro disegni. Alla fine è diventato il simbolo di una felicità mancata. Per la prima volta, ho iniziato a guardarlo e mi dava un senso di leggerezza. Nel corso del tempo è diventato qualcosa di nostalgico, a tratti anche doloroso. Il disegno è un arcobaleno. Da una parte mi fa pensare a una felicità incompiuta, dall’altra mi ricorda la sensazione che tutto possa veramente sgretolarsi, la caducità della vita e il bisogno di aggrapparsi all’istante.

Un po’ il riassunto della vita di tutti noi in questo momento storico.
Quel muro non l’ho mai guardato veramente. In base alle percezioni, tante piccole cose che davi per scontate diventano importanti, sempre che te ne renda conto. Si trasformano.

L’hai scattata tu quella foto quindi?
Sì sì. Il singolo è tutto homemade. A breve forse uscirà il video. Tutto fatto sullo slancio della sensibilità. Ci siamo detti Lasciamo che sembri una cosa non prodotta, uscirà perché ne abbiamo bisogno.

Mi auguro che questa quarantena abbia aiutato quantomeno tante persone a riavvicinarsi all’essenziale.
Ne sono certo. Anche le band si sono dovute confrontare con un sistema scarno che non avevano mai affrontato. Noi siamo abituati a costruire dal nulla perché è stata questa la nostra storia. Inizialmente mi prestavano la chitarra, per dire. Il continuo reinventarsi, usare gli ingredienti che ti trovi davanti per costruire un buon piatto, è normale per noi. Ma per molti non è così, anzi la produzione musicale cresce e diventa strutturata, con le sue regole e comodità. Ora le comodità sono crollate e tanti si stanno confrontando con l’impercettibile. Credo che questo cambierà la fruizione e la produzione della musica. O almeno lo spero.

Ci sarà anche una speranza per una crisi dell’estetica?
Qui sfondi una porta aperta, ma la vedo più difficile. Viviamo in un mondo di immagini.