Il lucchese Andrea Biagioni è tornato con un progetto completamente in italiano: il cantautore e musicista ce lo ha raccontato meglio in questa intervista.

Il video del suo nuovo singolo è fresco di pubblicazione, frammento di una live session della scorsa estate in quel di Lucca. È con Pranzo di famiglia che il cantautore lucchese Andrea Biagioni per la prima volta ha presentato un album completamente in italiano e per realizzarlo ha potuto contare sul sostegno di MiBACT e SIAE grazie al programma Per chi crea.

I più, forse, lo ricorderanno per i suoi passaggi in tv, da X Factor sotto la guida di Manuel Agnelli alla partecipazione a Sanremo Giovani nel 2018, ma nel percorso di Biagioni il piccolo schermo è solo un momento e forse neanche dei più importanti. Raffinato nella sua articolazione musicale, Andrea si muove su corde di generi diversi e il risultato è un lavoro personale impossibile da etichettare.

E per questo ancora più significativo. In Pranzo di Famiglia si ascoltano elementi di rock e funk, tracce di reggae e r’n’b, unite ora all’espressività musicale della lingua italiana. Come è arrivato a questo progetto? Lo abbiamo chiesto direttamente ad Andrea Biagioni.

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Di recente è uscito il tuo nuovo album, Pranzo di famiglia, realizzato con il programma Per Chi Crea di MiBAC e SIAE: che esperienza è stata lavorare a questo progetto? Ci sono state, anche nel tuo approccio, differenze rispetto al passato?

Sì, è appena uscito l’album. Poter lavorare con il programma Per Chi Crea è stata ed è tuttora una grande occasione che ha dato modo a questo progetto di decollare, di rafforzarsi ed essere promosso in modo più efficace di quelle che potevano essere le mie personali. È un sogno che si realizza. È un aiuto a realizzare un sogno.

Questo è il tuo primo album completamente in italiano, una scelta espressiva ben precisa: da dove arriva questa esigenza?

Primo album in italiano, sì. È stata una sfida che mi sono posto perché alla fine l’italiano è la mia lingua madre, anche se la mia “lingua madre” musicalmente parlando è sempre stata l’inglese, soprattutto per cantabilità e dal punto di vista tecnico. La differenza maggiore si trova nello scrivere i testi, perché in inglese la parola ha più un ruolo musicale che di concetto e di significato – lasciamo perdere Leonard Cohen, Sting e i grandi autori.

Nella maggior parte dei testi il valore nella canzone inglese non è dato dalle parole, come succede con l’italiano. Ho cercato di portarmi dietro tutto il bagaglio musicale e stilistico che ho appreso e che ho messo da parte in questi anni di musica, in questi vent’anni che suono. Ho cercato di portarmi tutto dietro in questo viaggio sonoro che è Pranzo di famiglia.

C’è tanta intimità in questo disco, che tra l’altro ha come prima parola della traccia di apertura “verità”: non è un caso, immagino, o mi sbaglio? È questo lo spirito che dà anima agli otto brani?

Questo è un disco a cuore aperto, non è un disco fatto per vendere, non è un disco per fare una musica che va di moda e quindi un investimento sicuro. È un disco fatto secondo un’esigenza di raccontarsi, di dire la propria su alcuni pensieri, alcuni modi di vivere, alcune realtà. È un modo di dire grazie ad alcune persone che mi hanno dato modo di formarmi nel mio lavoro, nella mia persona. È un sincero grazie, concreto. È anche un disco che non parte con una hit, non parte con un singolo radiofonico, ma parte con Verità, un pezzo da dove sono partito io: sincero, schietto e semplice, con chitarra, voce e archi. Tutto torna.

Per me il messaggio è ben chiaro, vedo che piano piano il pubblico capisce cosa c’è dentro questo disco e che cosa ho cercato di mettere dentro questi brani.

Croce e delizia: il pranzo di famiglia è un momento spesso temuto, è quello del confronto con gli altri ma anche un po’ con se stessi. Che bilancio, dunque, tracci in questo disco?

Ho sempre pensato che finché una persona non trova la sua posizione, il suo ruolo, la sua stabilità nella propria famiglia, nei rapporti con genitori e fratelli, non la troverà mai neanche nella vita. La famiglia, alla fine, è il nido dove si nasce e ci si forma, è il primo approccio con l’essere umano, con le persone. Quindi è molto importante: è alla base di tutto.

Questo “pranzo di famiglia” per me è un po’ un giro di boa in mezzo a questo mare incasinato che è la vita di un artista, di un creativo. Questo disco secondo me è un grande inizio, è una svolta importante, una grande decisione e una grande sfida. Cambieranno tante cose con da questo album in poi, in positivo sicuramente.

Ma qual è stato il brano più difficile da chiudere? E quello, invece, che è nato in maniera più semplice?

Il brano che per me è stato più difficile chiudere e di cui non sono ancora del tutto contento è Violet Peonie: è il brano meno a fuoco del disco, per quanto mi riguarda, e ho avuto difficoltà a starci dentro. Mentre i brani più semplici che sono nati penna, foglio e chitarra, in dieci minuti, sono Via da me, che è il primo che ho scritto tre anni e mezzo fa ed è stato un flash, un lampo venuto dal cielo; Angela, perché è stata un’esigenza di mettere in parole il mio dolore per la perdita di mia nonna.

Come si fa, l’ultimo brano che ho scritto, a casa di mia cugina a Milano, negli ultimi due giorni in studio di registrazione: quando stavo finendo di fare tutte le teche dei brani e avevo bisogno di un altro pezzo, mi sono messo là ed è venuto fuori da solo. In pochi minuti avevo melodia, parole e musiche. Una base l’avevo già scritta a casa, avevo in mente questa idea, questo giro armonico, poi le parole sono venute da sé. Per fortuna sono i tre brani che mi rispecchiano di più e sono nati tutti con la leggerezza di un messaggio sincero.

Tornando al passato, invece, nel tuo percorso artistico ci sono X Factor e Sanremo Giovani: che cosa ti ha insegnato ciascuna di queste esperienze? Le rifaresti oggi?

Nel mio passato c’è X-Factor, c’è Sanremo Giovani, ci sono concerti, ci sono musical, ci sono cortometraggi, ci sono tante cose. Rifarei tutto, assolutamente, perché queste esperienze mi hanno portato qui, ad oggi, a crescere, a capire. Io sono una persona che da quando ha iniziato ad affrontare le proprie paure, soprattutto artistico-musicali, è cambiata tanto, è cresciuta. C’è stata proprio una svolta lavorativa-artistica dopo queste esperienze, che sono servite tantissimo, anche a capire cosa non mi piace del mio lavoro. Queste esperienze, in realtà, hanno il 90% delle cose che non mi piace del lavoro di musicista in Italia, però quel 10% è impagabile, quel 10% non ha prezzo.

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E guardando avanti ci sono una serie di date live: che tipo di set stai portando?

Ora viene il bello! Abbiamo lavorato fino ad ora e adesso siamo in tour e ci divertiamo. Io e la mia chitarra. Sarà un tour in solo anche per esigenze lavorative, parliamoci chiaro, non si nasconde nulla qui. Per adesso questa è la realtà. Mi muoverò da solo anche se mi diverto di più con la band, perché è una conversazione, uno scambio continuo di energia e di messaggi musicali. Però da solo è la vera prova del nove

È un’esperienza che mi servirà a capire anche come le persone recepiscono il mio messaggio, a diventare sempre più chiaro e confidenziale anche nella mia performance. Ho proprio voglia di trovarmi da solo in mezzo a trenta, quaranta, dieci, sei persone… non lo so quanti verranno ai miei concerti, ma quelli che ci saranno cercherò di cullarli un po’ in questo viaggio e raccontare loro un po’ delle mie esperienze. Quindi sarà un set intimo, molto intimo, dove cercherò il più possibile di portarmi dietro i colori e le emozioni del disco e dove, con le possibilità musicali che ho, cercherò di non annoiare il pubblico.

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Dici che l’eroe moderno è chi riesce a essere se stesso, non dimenticando la propria anima di bambino: ma che cos’è, per te, la libertà?

Più cresco, più vado avanti in questo lavoro, più mi rendo conto che oggi essere sinceri nel proprio modo di fare e nel proprio essere è una cosa rara. Bisogna tenersi strette le persone che hanno il coraggio di mandarti a quel paese quando te lo meriti, quando loro lo pensano. Allo stesso tempo le persone che ti vogliono bene e te lo dimostrano sono care quanto quelle che ti mandano a quel paese.

Almeno sai cosa devi fare, cosa hai sbagliato e ti ci puoi rapportare realmente e realmente scegliere. Per me questo è fondamentale. Per me questi sono gli eroi. Mi rendo conto che sto cercando in tutti i modi di circondarmi di persone così e sono veramente poche, come gli eroi nella storia. Per me essere chi riesce ad essere se stesso non dimenticando la propria anima è una persona libera al giorno d’oggi.