Tradizione e Tradimento è il nuovo album di Niccolò Fabi che torna alla musica con un progetto che diventerà presto un tour nei teatri. Ecco le dichiarazioni del cantautore.

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In un mondo che fa a gara per farsi sentire sopra lo stridio del quotidiano e naviga stando sempre in superficie, Niccolò Fabi rivendica il sussurro. Quella parola cantata non urlata, blaterata o buttata in faccia con conformismo pressapochista. Quella che va in fondo, la traccia che scava e che, per questo, fa riflettere più degli slogan a caratteri cubitali, capace di muovere dall’io al noi collettivo diventando storia di tutti.

Tradizione e Tradimento è il titolo meravigliosamente limpido e dicotomico del nuovo album del cantautore, in uscita venerdì 11 ottobre, che porterà con sé un nuovo viaggio teatrale. Quando leggo quelle due paroline così densamente concentrate, penso inevitabilmente al filologo che è Fabi: “un titolo da secchione, intendi?”, mi dice sorridendo l’artista. Vivaddio, rispondo io.

Il disco arriva dopo quello che Niccolò definisce “il giro del palazzo”, un allontanamento dalla musica e dal suo linguaggio che, alla fine, è tornato da dove era partito ma con qualcosa di diverso. “Fallimento e resurrezione” si sono rincorsi e legati alla storia, al tempo che passa, alla letteratura con nel mezzo, a cucire la trama, un io che si fa voi e il coraggio di scegliere.

Il diritto di scrivere canzoni

“Rivendico il fatto di scrivere canzoni, – racconta Fabi presentando l’album – per me suono e parole hanno equità di importanza e sono entrambe fondamentali. La parola non ho senso senza quel tipo di suono sotto e viceversa, ed è questo uno dei motivi per cui i miei pezzi sono difficili da coverizzare: sono legati a uno stato d’animo molto personale o per lo meno poco comune. Nel mio fare canzoni c’è il tentativo di far sì che un certo suono con quella parola e quella metrica cambi il significato della parola stessa.”

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Con presupposti del genere è naturale, quindi, che non ci sia elemento nell’opera del cantautore il cui peso non sia stato soppesato con cura certosina, la stessa che Fabi arriva a definire come “ossessione”. Lui, nella folla assordante di artistoidi che proclamano a destra e manca il proprio presunto genio si dice “uno qualunque”, ha fatto della penna garbata il più deflagrante racconto del vero.

“A u certo punto del percorso mi sono reso conto che se non spingevo sull’acceleratore non ero nulla. – continua Fabi – Mi sono riguardato allo specchio e ho contraddetto quello che avevo sostenuto due anni prima, cioè che dovevo smettere.” Perché fare una scelta è anche tornare sui propri passi, per ripercorrerli senza aggirarli ma facendosi carico di nuovi bagagli. E significa pagarne sempre il conto.

“Credo che ogni scelta fornisca un conto, ovvero ha le sue conseguenze, in positivo o in negativo. Nel caso di un artista, alcune scelte possono deludere le aspettative di qualcuno e gratificare le attese di qualcun altro. Devi saperne accettare le conseguenze, soprattutto quando sei in bilico tra due opzioni.”

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Lì corre il filo sottile fra tradizione e tradimento, fra “desiderio di confermare la prima identità, come tradizione della vita, e la voglia di rischiare, ovvero allargare la propria identità verso qualcosa di nuovo che ci porta altrove, una forma di tradimento.”

Il tradimento è un rischio rispetto alla certezza di una tradizione ma solo attraverso il rischio si può scoprire una nuova identità.

E crescere significa guardarsi attorno e inevitabilmente scegliere: “L’età è un dato non secondario, conta in maniera determinante e non in senso negativo. Le nostre cellule lavorano da un tot di anni, io le sento e influenzano i miei pensieri. Oggi sento i miei organi più di quanto non facessi vent’anni fa e questa è una possibilità enorme.

Non possiamo permetterci di non ascoltarci e penso che sia compito di un artista raccontare le stagioni della vita per dare ai coetanei un modo diverso di veder le cose, creare una prospettiva per i più giovani e delle memorie per chi è più grande.” In questo cammino, di vita personale e di umanità, lo scavare nel fondo è ciò che porta in luce la matrice condivisa di quello che siamo.

Tradizione e Tradimento: un canto senza megafono

Dall’io al noi, si diceva: “Non poteva che essere così. – spiega Niccolò – Il disco precedente era talmente ‘io’ che l’esigenza primaria era trovare un modo di essere intimo secondo il mio linguaggio ma che fin dall’inizio avesse la necessità di farsi capire. Sono anomalo rispetto a tanti altri cantautori ai quali non puoi levare i primi dieci anni di carriera: ho fatto avvicinare a me il pubblico lentamente.”

Io faccio avvicinare a me le persone con il sussurro non con il megafono; a me per primo, nella vita, hanno sconvolto di più certe cose dette sottovoce rispetto ad altre urlate.

Oggi, in questo mondo nel quale sentirsi smarriti è un sentimento condivisibile e condiviso, che artista vuole essere Fabi? “Mi sento spaventato da una società che va in una direzione in cui non mi riconosco e che giudicano come pericolosa. Penso che l’artista sia colui che in un panorama vasto riesce a mostrare quei dettagli che altri notano di meno, sa fornire uno sguardo diverso sulle cose e riesce a far vedere aspetti che sono sotto gli occhi ma che magari non vediamo.

Queste sono le uniche armi che ho per farmi ascoltare: poter sensibilizzare a un ascolto più attento di arginamento dell’illusione, contenimento dell’aggressività e smorzamento del cinismo.” E in questo, altro che “uno qualunque”: Fabi è un Artista, vero, di quelli con l’iniziale maiuscola.