Il 3 ottobre è uscita su Netflix una nuova stagione di Monster, la serie firmata da Ryan Murphy e Ian Brennan che esplora alcuni dei serial killer più famosi della storia portando questa volta il caso Ed Gein, il macellaio di Plainfield, che torna a sconvolgere, affascinare e turbare allo stesso tempo. Il titolo completo di questa stagione, Monster: The Story of Ed Gein, riporta sotto i riflettori una delle figure più inquietanti della cronaca americana, che ha condizionato a livello di impatto visivo e culturale l’immaginario collettivo e cinematografico.
Reso celebre non solo per la sua atrocità ma anche per gli oggetti creati con la pelle umana, cosa resta oggi delle sue creazioni macabre? Cosa è sopravvissuto concretamente e simbolicamente dell’universo disturbante che Edward Theodore Gein aveva costruito nella sua fattoria in Wisconsin?
Le creazioni e i reperti di Ed Gein distrutti
Quasi nulla di ciò che Gein aveva realizzato con parti umane, dalle cinture di capezzoli alle maschere, fino ai celebri paralumi, è sopravvissuto. Dopo la sua cattura nel 1957, gran parte di quegli oggetti fu sequestrata e successivamente distrutta dalle autorità. L’intento fu proprio quello di evitare che diventassero oggetto di culto o speculazione. Eppure, quelle realizzazioni continuano a vivere anche oggi sotto forma di riproduzioni, ispirazioni artistiche, fotografie, oggetti scenici e persino gadget.
Il ruolo delle immagini tra fumetti e fotografia nella psicosi e nella memoria
La serie Monster: The Story of Ed Gein ha un chiaro obiettivo, quello di mettere in evidenza un elemento peculiare e necessario per la narrativa d’azione del serial killer: Ed Gein non agì in un vuoto visivo e in assenza di stimoli. Le sue allucinazioni, che si scoprì poi alimentate da una diagnosi di schizofrenia, non erano semplici deliri di una mente malata ma influenzate da fotografie dei campi di concentramento nazisti e fumetti estremi come La cagna di Buchenwald, il nomignolo assegnato a Ilse Koch, la crudele moglie del direttore del lager di Buchenwald, che viene mostrata nella serie in alcune scene.
È lo spettatore a essere chiamato in causa: se Gein fu il mostro, chi continua oggi a cercare quelle immagini, a riprodurle, a collezionarle, cosa diventa? Un interrogativo che pronuncia lo stesso Ed Gein, interpretato magistralmente da Charlie Hunnam, rompendo il confine della quarta parete e sfidando il pubblico: “Sei tu quello che non riesce a distogliere lo sguardo”. Ed è proprio qui che si mette in discussione nella serie Netflix il confine tra vittima dell’orrore e consumatore dell’orrore che si fa sottile, quasi trasparente.
Riproduzioni cinematografiche: dal crimine al mito horror
Ed Gein è diventato una fonte di ispirazione per un’intera iconografia horror. La sua storia ha dato vita a Norman Bates in Psycho di Alfred Hitchcock, Leatherface in Non aprite quella porta, e Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. In tutti questi personaggi, che vengono evocati anche nella serie, sopravvive l’eredità macabra di Gein: la trasformazione e trasfigurazione del corpo, l’uso della pelle come maschera o oggetto di creazione, e un luogo intimo come la casa che diventa un vero e proprio set della follia.
Ogni film ha ricostruito, più o meno fedelmente, le sue creazioni, rendendole leggendarie anche per chi non conosce i dettagli reali del caso. Il cinema, in questo senso, non solo ha conservato l’immaginario, ma lo ha reso riconoscibile, replicabile, culturalmente accettato nella finzione.
Quando l’orrore ispira l’arte contemporanea
Nell’arte emerge in modo più o meno esplicito il richiamo alle estetiche disturbanti di Ed Gein. C’è Joel-Peter Witkin che nelle sue fotografie teatrali lavora con la dissezione visiva del corpo, o chi trasforma il macabro in riflessione sul concetto di morte, come Damien Hirst con le sue teche. Altri, come Jake e Dinos Chapman o Gunther von Hagens, estremizzano il corpo umano come materiale artistico, evocando la tensione tra attrazione, curiosità e repulsione.
Il tema artistico non è legato alla celebrazione del crimine ma è una vera e propria esplorazione di quanto l’estetica dell’orrore possa interessare, scioccare, far pensare e destabilizzare. Gli artisti esplorano da tempo questa estetica della carne, del trauma e della decomposizione, non per emulare, ma per interrogare il confine tra umano e disumano, tra bellezza e repulsione. In loro, il corpo smembrato o la figura distorta diventano veicoli di una riflessione profonda, quasi sacra, sull’identità, la morte e la memoria. Ed Gein, non volontariamente, è diventato una figura quasi archetipica in questa corrente artistica, in un panorama dove l’esposizione alla realtà, cruda e macabra, è continuamente trasmessa su ogni media.
Il merchandising dell’orrore: maschere, repliche, true crime pop
L’era del true crime pop è viva più che mai e questo si riversa anche nel mondo del collezionismo horror. L’universo visivo di Ed Gein, con le sue creazioni, è diventato una sorta di marchio non ufficiale. Online si trovano maschere ispirate a Leatherface, action figure dedicate a serial killer, riproduzioni delle sue creazioni fatte a mano da artigiani del macabro. La casa stessa, dopo la cattura, attirava curiosi da ogni parte prima di essere misteriosamente distrutta da un incendio.
In questo contesto attuale vediamo una trasformazione dove l’orrore diventa consumo, il crimine un’estetica da indossare o da esibire come soprammobile. È un marketing nell’abisso della mente e nell’evocazione di quello che, in teoria, dovrebbe farci paura.
Memoria collettiva o spettacolarizzazione del trauma?
Alla fine, resta la domanda scomoda: guardiamo per comprendere, o per intrattenerci? La serie Netflix riapre il dibattito su cosa resta dell’arte macabra dietro il crimine, su cosa significhi cancellare una memoria e ritrovarla moltiplicata in altre forme: film, sculture, gadget, repliche.
Ogni immagine perduta è stata sostituita da una nuova rappresentazione, più lucida, più accessibile e reale. Ed Gein, forse, sopravvive proprio in questa riproduzione continua del suo orrore. Un orrore che oggi non si nasconde più, ma viene cercato, replicato, venduto. Ed è qui che il vero mostro prende forma, nello sguardo collettivo che lo vuole ancora vedere.