Albe pubblica il primo album ‘Baita’: «Essere originali significa essere veri»

Dopo tre anni di lavoro e una serie di singoli che hanno segnato una nuova direzione artistica – Cercapersone, Con te non ci torno più e Alla fine sono ioAlbe presenta il suo primo album ufficiale, ‘Baita’(Triggger / ADA Music Italy). Un progetto che arriva al termine di un periodo di ricerca, maturazione e consapevolezza, e che definisce per la prima volta in modo chiaro la sua identità musicale.

Il titolo deriva dal dialetto bresciano e significa casa, termine che infonde un progetto che parla di radici, luoghi e relazioni che sono punti fermi anche quando tutto cambia. La provincia non è uno sfondo: è la lente attraverso cui Albe osserva anzitutto se stesso. Un territorio che limita e al tempo stesso riconnette, che stringe e che libera, e che nel disco diventa simbolo di autenticità e appartenenza.

Quella stessa che intesse anche l’estetica dell’album, a partire dalla copertina  che racconta un pranzo autenticamente vissuto in una cascina di provincia. E che è, in fondo, una dichiarazione d’intenti: cercare la verità, prima di tutto.

Cosa rappresenta per te questo progetto?
Rappresenta, secondo me, le fondamenta adatte per il percorso che voglio intraprendere: un percorso più suonato, un percorso più cantautoriale. È quello che sono, alla fine.

Quando è nato il concept ‘Baita’ e come ha preso forma nelle tracce?
Diciamo che nelle canzoni sparse ho notato che comunque c’era un filo logico, qualcosa che le univa. Dopodiché, pian piano, quando c’erano già più della metà dei brani, abbiamo pensato al titolo, all’album, e il filo rosso che collegava tutto erano i temi che trattavo e anche la musica. Il titolo in realtà racchiude molti significati, però ‘Baita’ è quello che li racchiude tutti.

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E quali sono queste declinazioni?
Allora, le canzoni parlano di amicizie, della provincia da cui vengo, che non è un posto lontano. Uno potrebbe pensare “abita chissà dove”, invece no: abito a un’ora da Milano. Però, vivendo adesso a Milano da anni e non essendo più circondato dal bar del paese, gli amici del paese, mio fratello, mia sorella, mia mamma, mio papà, la fidanzata e così via, questo mi ha portato a scrivere di questa sensazione, di quella quotidianità che avevo tutti i giorni. Questo mi rappresentava, e di questo ho parlato.

Beh, Brescia non è proprio un paese…
Dico Brescia ma vengo da un paesino, Alfianello che conosceranno in pochissimi.

Ma quanto ti è stata stretta quella provincia?
Guarda, mi è stata stretta solo dal punto di vista delle opportunità. Credo che i paesi in realtà siano una miniera d’oro a livello di libertà mentale, di relax, rispetto a Milano o ad altre città molto piene. Però, a livello di opportunità, anche solo dell’uscire la sera e conoscere persone nuove, non c’è nulla. C’è solo la cerchia con cui sei cresciuto. Se vuoi influenze nuove, scoprire nuovi posti, nuovi eventi, come fai? Io ho dovuto venire qui, a Milano. Poi uno può fare avanti e indietro, però è anche bello vivere da soli. Per me era bello avere il mio spazio, lontano dalla famiglia, dove ero stato per 22 anni. Mi sono detto: proviamo!

A proposito di tempo e di ritmi. Il tuo primo EP è del 2022 e questo album arriva tre anni dopo, un tempo che soprattutto se confrontato con altri tuoi coetanei, magari reduci da un talent, denota una scelta molto diversa. Credi di aver perso qualcosa o il tempo che si sei concesso ti è servito per una ricerca di identità?
La seconda che hai detto. Io non ho fatto uscire un album perché non ne sentivo il bisogno: non mi conoscevo abbastanza per capire se fosse necessario. Poi sono arrivato a un momento della vita in cui ho detto: ci sono queste canzoni, è giusto creare. Per il progetto che voglio fare, anche in futuro, è giusto che qualcosa esca.

È giusto non aspettare la “canzone perfetta”, ma che ci sia un album che dia valore e vita a un progetto artistico che ha voglia di esprimersi anche più avanti. Il compito di questo album è proprio questo: avere una base e ripartire da qui, da questo momento, da questa baita.

Sei un artista che cerca la “canzone perfetta”?
No, non sono un tipo precisino, ma sono uno che pretende molto. Preciso no, ma pretenzioso sì. Non parlo di numeri ma dal punto di vista cantautorale.

Secondo te oggi cosa rende originale? Siamo invasi da uscite ogni venerdì, tanti giovani, tante proposte. Cosa rende unico?
Secondo me sei originale quando noto in te della verità. Mi sembra che adesso la cosa più originale sia essere veri. Non è più questione di cosa suoni, che melodie fai, cosa scrivi: ormai è tutto copiato e ricopiato, ed è normale. L’unica cosa che resta originale è la verità. Che a volte viene travisata, e a volte uno si crea un alter ego, un personaggio, delle canzoni che non stanno bene addosso. Quindi secondo me ciò che mi fa dire “questa persona è originale” è la verità. Misto, però, anche alla qualità: ci deve essere una base di qualità sonora, uditiva, nella canzone che ascolto.

La scelta di avere musica suonata, suoni organici, va anche in questa direzione di verità?
Sì. Io vivo la mia musica e il mio progetto per i live, che sono e saranno sempre il mio obiettivo. Quindi per forza di cose anche le versioni in studio devono rappresentare questa cosa. In questo album volevo che la batteria fosse vera, come lo erano le parole, le melodie e come lo erano i miei amici nella copertina. Volevo tutto analogico, tra virgolette, “come una volta”. Questo non vuol dire che in futuro, se dovessi fare un album con drum machine o synth, non lo farei. Lo farei solo per sperimentare qualcosa di nuovo.

L’artwork e lo storytelling visivo

Hai citato la copertina: questo è un disco molto visivo. C’erano immagini che avevi in mente mentre scrivevi? E come avete lavorato sull’estetica?
Sì. Quando scrivevo pensavo ai momenti che ti dicevo prima: i miei amici, momenti specifici da metaforizzare e trasformare in parole, tante cose. Da qui nasce anche l’immaginario della copertina. Siamo andati a fare foto e dei contenuti nella cascina di un mio amico d’infanzia, in provincia: Monasterolo, ancora più piccolo del mio paese. Avrà 50 abitanti. Ho radunato lì i miei amici, mia sorella, mio fratello, la mia ragazza e abbiamo fatto un pranzo. Dalle foto sono usciti scatti molto autentici: non sono una posa ma foto reali di quel momento, mente mangiavamo una carbonara.

Avete lavorato anche sulle copertine dei singoli, con oggetti che costruiscono quell’immaginario domestico.
Quella è stata una scelta estetica: ci siamo chiesti come essere coerenti e abbiamo pensato di portare le persone dentro quel mood. Quindi ecco una teiera, un vassoio argentato molto vecchio, un living room con lo specchio.

C’è qualcosa che in questa copertina manca, secondo te? Qualcosa che avresti messo nella tua ‘baita’?
Manca sicuramente un mio amico, uno dei miei migliori amici, che non poteva esserci. È stato un raduno molto sprint: abbiamo chiamato “Raga, ci siete domani?” “”. E siamo andati. Molti amici non potevano, ovviamente. Sapevano che poteva diventare la copertina, ma per impegni non potevano esserci.

E se le tracce fossero ciascuna una stanza, qual è stata quella più difficile da arredare, quella che ti ha impegnato di più?
Bella domanda. Forse Con te non ci torno più, la sesta traccia. A livello di suoni è stata difficile da mixare: capire bene la batteria, dove mettere rullante e crash, da unire alle chitarre. Nella fase di mix c’è stato un po’ più sforzo. Doveva suonare bene, ecco… quindi abbiamo impiegato un po’ di tempo per finalizzarla.

Hai scelto di riportare a casa queste canzoni con date live particolari. Come le hai pensate e cosa vuoi che il pubblico si porti a casa?
Gli house concert non sono veri e propri live ma sono un ritrovo con i ragazzi e le ragazze che mi supportano, che hanno preso il vinile, che seguono il progetto al 100%. Non è un tour vero e proprio: è più un concept tour. Andrò a casa di alcuni amici a Roma, Milano, Bologna e Napoli. Chi ha preso il vinile potrà venire, faremo due chiacchiere insieme … io con la chitarra in mano, cateneremo e analizzeremo le canzoni. Sarà un ritrovo, chitarra in mano io e si dialoga.

Come sono i tuoi fan, ovvero che tipo di pubblico hai?
Ora come ora noto un ricambio. Io arrivo da un contesto televisivo molto mainstream e per forza di cose lì ogni anno c’è un cambio: la persona che segue me, l’anno dopo segue un altro. Non è un pubblico attaccatissimo all’artista preciso, capita. Adesso vedo persone nuove che arrivano, persone “vecchie” – non di età – che sono rimaste, e persone che mi conoscevano da prima e mi hanno riscoperto ora in questa nuova fase. Sono ragazzi come me: quelli che ricordo sono tra i 18 e i 30 anni. Poi ci saranno anche fan più grandi o più piccoli, ma quelli che ho in mente sono ragazzi tranquilli, come me. Alla fine credo che i fan rispecchino quello che sei.

Immagini da Ufficio Stampa