È una seconda possibilità per Plant l’album di debutto Maldivita, uscito il 3 ottobre per M.A.S.T./Believe. Un viaggio in musica nei meandri dei segreti più oscuri della mente dell’artista, che si rivela senza compromessi e senza paletti. «Mi sono ritrovato un anno fa con la bussola rotta. – ci dice – Non sapevo più dove stavo andando. Sono tornato a far musica da solo e non è stato facile riadattarmi. Avevo tante paranoie su di me e sulle mie capacità, ho scartato tanti pezzi all’inizio perché non sapevo cosa stessi facendo. Ho messo in conto anche di smettere. Ma questo disco è stata terapia al 100%, ogni pezzo che veniva fuori e aveva senso mi ha dato una spinta».
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Un nuovo inizio, dunque, scandito da un titolo più che mai esplicativo e da una cover in cui Plant appare tra fiori e cerotti. «Maldivita, come termine, nasce da un cazzeggio in studio. – racconta – Io scrivo le canzoni in due modi: o sono cose scritte sul telefono o sento qualcosa di sonoro e inizio a buttare versi a caso. Così è nata questa parola che non esiste. Eppure, se la leggi, capisci subito cos’è. Per me era assurdo: ho inventato una parola che è già dentro di noi. È la malattia della nostra generazione questo male di vivere, che nasce da tante cose».
Plant e Maldivita: malattia di una generazione iper-connessa
In primis, secondo Plant, la sua generazione nasce «iper-connessa, forzatamente connessa». «Oggi – spiega – se voglio chiamo i miei parenti in America. Se la mia ragazza non c’è, posso comunque vederla ogni giorno. Questa cosa ci allontana. Siamo sempre più lontani a livello emotivo e di sensazioni, e anche a livello di tempo passato insieme, perché diventa sterile. Non ha più valore. Siamo carichi di stimoli costanti e questo non ci fa provare emozioni vere. Non ci sono più pochi stimoli che ti toccano».
Soprattutto – secondo Plant – siamo continuamente esposti alla vita degli altri. «Noi stessi mostriamo solo la parte migliore della nostra vita. – dice – Un utente medio fa vedere solo l’apice e non quando va dallo psichiatra o quando piange. Vogliamo correre e produrre costantemente, consumare e fare cose e non fermarci mai. Questo non ci fa mai ascoltare, non ci fa evolvere e crescere come persone. Siamo criceti su ruote perché, se ci fermiamo un mese, la gente ci chiama bolliti, surgelati».
«Dobbiamo stare sempre al centro dell’attenzione, altrimenti sembra che sia finito tutto. Dobbiamo comparare sempre i numeri e nell’arte questa cosa è brutta, perché non sempre i numeri rispecchiano la complessità di un’opera. Ci sono tanti sintomi del maldivita e spero che questo disco possa aiutare almeno un minimo gli altri come ha fatto con me. A me tirare fuori ‘ste cose mi ha liberato di tanti sassolini e spero che qualcuno, sentendosele urlare, si svegli un po’».
Collaborazioni e live
C’è tutto, in effetti, in Maldivita: depressione, farmaci, solitudine, senso d’impotenza. Come un flusso, la penna di Plant si muove tra testi diretti e un sound che si trasforma in base al messaggio da veicolare. «È il disco – precisa – che ho sempre voluto ascoltare, perché non insegue regole standard o semplicemente aspettative. È il mio primo disco e non ho l’ansia di dover dimostrare qualcosa. Sto costruendo tutto da zero. E poi sono io al 100%, non mi sono fatto problemi del tipo Devo essere punk: sono io, qualsiasi pezzo è un mondo a sé, ma si incastra all’altro. Ho cercato di non fare doppioni, ho pensato tutto alla perfezione come se dovessi fare un figlio». Nel disco spiccano poi le collaborazioni con Nitro (in Dottore), BNKR44 (in Up&Down), 18k in Pipistrello e Sally Cruz in Messaggio d’addio.
Tutte nate da «esperienze di vita condivise». Per Plant sono fratelli, sorelline o – nel caso di Nitro – veri e propri idoli con cui crescere. Maldivita è un lavoro certosino che richiede tempo e pazienza, per la sua profondità. Da ascoltare e masticare in attesa del live il 28 ottobre ai Magazzini Generali, dove Plant promette ospiti, «una scenografia incredibile, visual incredibili e luci incredibili». Senza dimenticare il messaggio, attorno a cui ruota tutto. Nella speranza che – urlandolo – la generazione del Maldivita si svegli o si senta un po’ più compresa.