Klimt, il ritratto di Elisabeth Lederer: l’incredibile storia del dipinto diventato il più caro dell’arte moderna

Il 18 novembre 2025, un quadro rimasto per decenni nascosto agli occhi del pubblico ha infranto ogni record. Portrait of Elisabeth Lederer (Ritratto di Elisabeth Lederer) di Gustav Klimt – una figura quasi eterea, quasi due metri di seta bianca, simboli orientali e mistero – è diventato l’opera di arte moderna più costosa mai venduta all’asta, aggiudicata da Sotheby’s New York per 236,4 milioni di dollari. Una cifra capace di superare perfino la celebre Lady with a Fan e scalzare dal podio icone pop come la Marilyn di Andy Warhol.

LEGGI ANCHE: La collezione di Leonard A. Lauder arriva in asta: Klimt, Matisse e un secolo di sguardi che hanno fatto la modernità

Ma perché proprio questo quadro? Cosa rende così prezioso un ritratto dipinto tra il 1914 e il 1916, privo dell’oro sfavillante del primo Klimt e rimasto così poco visibile per più di un secolo?

La risposta sta nella sua storia: una storia di famiglie potenti, commissioni contese, espropri nazisti, fughe, documenti falsi, collezionisti miliardari e una sopravvivenza quasi miracolosa. È la storia di un ritratto nato nel cuore dell’età d’oro viennese e poi scivolato nelle ombre della Storia, che oggi – anche grazie a questa vendita – torna finalmente alla luce.

La giovane erede che affascinò Klimt

Elisabeth Lederer non era solo una ragazza dell’alta borghesia viennese. Era la figlia di August e Serena Lederer, tra i più importanti collezionisti e sostenitori di Klimt. I Lederer erano la seconda famiglia più ricca di Vienna, subito dopo i Rothschild. E il loro rapporto con l’artista era personale, quasi simbiotico.

Klimt aveva già dipinto la madre nel celebre Ritratto di Serena Lederer (1899), e più avanti avrebbe ritratto anche la nonna, Charlotte Pulitzer. Con Elisabeth, però, la situazione fu diversa: la giovane erede aveva qualcosa che affascinava profondamente Klimt, e il suo ritratto divenne terreno di scontro e attrazione.

Ritratto di Serena Lederer, Shutterstock

Commissionato nel 1914, il quadro fu al centro di numerosi litigi tra l’artista e Serena Lederer. Klimt non lo riteneva mai finito, continuava a modificarlo, a ripensarlo, a ritoccarlo. Serena, esasperata, arrivò a portare via la tela direttamente dallo studio di Klimt, convinta che fosse ormai pronta.

Era il 1916: il quadro lascia per la prima volta lo studio dell’artista, nonostante la reticenza di Klimt. E da lì inizia il suo viaggio accidentato.

Un dipinto carico di simboli e segreti

Nonostante manchi l’opulenza dorata della Golden Phase, il Ritratto di Elisabeth Lederer è un’opera traboccante di dettagli simbolici, riferimenti culturali e invenzioni visive.

Elisabeth appare avvolta in un abito bianco di seta, all’apparenza semplice. Ma guardando meglio, la veste è un labirinto di motivi orientali, animali fantastici, forme quasi scientifiche. Klimt – immerso negli studi di anatomia e micrografia che circolavano nella Vienna di inizio secolo – sembra intrecciare elementi provenienti dalla medicina, dall’arte cinese, dalle porcellane orientali, dalle stoffe Qing.

Draghi, onde, cirri, figure in miniatura emergono dal blu profondo dello sfondo. Secondo gli studiosi, molte di queste forme derivano direttamente dalla cultura materiale cinese: soldati di basso rango, figure femminili, personaggi teatrali dell’Opera di Pechino. Ma in Klimt diventano visioni, apparizioni oniriche, come se l’intera scena fosse sospesa tra sogno e teatro.

La figura di Elisabeth, alta, allungata, quasi fragile, sembra incarnare una Venere moderna: una giovane donna intrappolata tra tradizione, identità familiare e una nuova modernità carica di inquietudine.

Foto: Sotheby’s

Il 1938: l’arrivo delle ombre

Nel 1938 tutto cambia. Con l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, la famiglia Lederer viene perseguitata come molte famiglie ebraiche. La loro ricchissima collezione viene confiscata. I Klimt vengono sequestrati, smembrati, dispersi. Il ritratto di Elisabeth rischia la distruzione un anno dopo, salvato per un soffio da un incendio in cui molte opere andarono perdute.

Mentre l’Europa precipitava verso il buio, anche la vita di Elisabeth si intrecciava con la catena di eventi che avrebbe travolto la sua famiglia. Nel 1921, si era sposata con il barone Wolfgang von Bachofen-Echt, scegliendo di convertirsi al protestantesimo, un passaggio che sembrava allontanarla – almeno formalmente – dalle origini ebraiche dei Lederer. Dopo il divorzio nel 1934, però, tornò alla sua identità di nascita, proprio quando l’Austria stava imboccando la strada che l’avrebbe condotta all’Anschluss.

Nel 1938, per salvarsi dalla persecuzione, fece ricorso a un espediente tanto disperato quanto ingegnoso: ottenne un documento falso che dichiarava Gustav Klimt come suo padre biologico, una finzione che la collocava in una zona grigia delle leggi razziali. A proteggerla contribuì anche un ex cognato, nel frattempo diventato un alto funzionario nazista, che le permise di restare a Vienna quando quasi tutta la sua famiglia era già fuggita. Nonostante tutto, Elisabeth non riuscì a salvarsi da una feroce malattia: morì nel 1944, in una città sempre più sfigurata dalla guerra, senza essersene mai allontanata.

Il suo ritratto, invece, continuò il proprio percorso accidentato. Sopravvissuto alle razzie, agli incendi e al caos del conflitto, fu restituito nel 1948 a suo fratello Erich Lederer, unico erede rimasto a custodirne la memoria.

Dalla Vienna del dopoguerra alla New York dei miliardari

Per oltre trent’anni, il quadro rimane nelle mani di Erich Lederer. È un oggetto ferito, simbolo di una storia familiare svuotata ma ancora viva. Nel 1983, due anni prima della sua morte, Erich lo vende al gallerista Serge Sabarsky. Ed è attraverso Sabarsky che la tela giunge nelle mani del suo ultimo grande custode: Leonard A. Lauder, erede della fortuna Estée Lauder e collezionista vorace di arte europea del Novecento.

Lauder lo acquista nel 1985. Da quel momento, il ritratto rimane invisibile al mondo, appeso sopra il suo tavolo da pranzo nella residenza di New York. Esposto pochissime volte, custodito come un tesoro privato, diventa parte della leggenda Lauder: una collezione da oltre 400 milioni di dollari.

Eppure, un giorno anche i tesori più protetti devono tornare alla luce. Dopo la morte del miliardario, nel giugno 2025, gli eredi decidono di mettere all’asta l’opera.

Un’asta epocale

Il 18 novembre 2025, la sala di Sotheby’s sembra trattenere il respiro. L’asta parte da 130 milioni di dollari. Dura venti minuti. Un tempo infinito, per chi conosce il ritmo convulso delle vendite d’élite.

Quando il martelletto scende a 236,4 milioni, la sala esplode. Il quadro diventa l’opera di arte moderna più costosa della storia, la seconda opera più costosa mai venduta all’asta, superata solo dal Salvator Mundi di Leonardo, e il nuovo capolavoro simbolo del mercato dell’arte globale.

L’acquirente resta anonimo.

Perché vale così tanto?

Il valore astronomico non dipende solo dalla mano di Klimt, né dalla bellezza dell’opera. Dipende dalla sua storia. Un percorso che attraversa la Vienna della Secessione, le persecuzioni naziste, le fiamme della guerra, il collezionismo americano del dopoguerra e i nuovi equilibri del mercato globale.

È un caso rarissimo in cui ogni elemento aggiunge un livello di profondità: dalla committenza di una delle famiglie più influenti della Vienna imperiale al rapporto personale tra Klimt ed Elisabeth, fino al conflitto sulla sua incompiutezza. A tutto ciò aggiungiamo la confisca nazista e la sopravvivenza a un incendio, la restituzione e la lunga fase di invisibilità nella collezione Lauder, la qualità estetica unica a cavallo tra Secessione, simbolismo e suggestioni orientali, la scarsità dei Klimt sul mercato e la potenza narrativa del personaggio di Elisabeth, una donna costretta a trasformarsi per sopravvivere.

Un quadro così non è solo un oggetto: è una testimonianza della storia europea del XX secolo. Un’opera che porta addosso le tracce di ciò che è stato – e di ciò che abbiamo rischiato di perdere.

Un ritorno alla luce

Il fascino di questo ritratto sta anche in un altro dettaglio: per quasi un secolo, pochissime persone l’hanno visto dal vivo. Nascosto nelle case dei collezionisti, esposto raramente, riprodotto poco, Portrait of Elisabeth Lederer è rimasto un enigma. Ora, questa vendita potrebbe cambiarne il destino.

Non sappiamo dove finirà: in un museo, in una collezione privata, in un caveau. Ma una cosa è certa: dopo più di cento anni di attese, fughe, paure e silenzi, il ritratto di Elisabeth Lederer è tornato al centro della scena mondiale.