La performance Police State di Nadya Tolokonnikova (Pussy Riot) al MOCA di Los Angeles è stata sospesa per le proteste contro Trump. L’artista: «Mi sento come in Russia».
Nadya Tolokonnikova delle Pussy Riot era nel pieno della sua performance artistica POLICE STATE presso il Geffen Contemporary del MOCA (Museum of Contemporary Art) di Los Angeles quando, dopo quattro giorni, è stata costretta ad interrompere l’installazione. A causare la sospensione sono state le massicce proteste scoppiate in tutta la California contro le politiche della nuova amministrazione Trump.
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Il MOCA sospende la performance POLICE STATE per motivi di sicurezza
A comunicarlo è lo stesso MOCA, che ha deciso la chiusura della sede nel weekend, senza specificare una nuova data per la ripresa. Il museo ha citato genericamente le «condizioni» in città e la vicinanza del MOCA ai luoghi di protesta e all’attività militare, affermando di aver preso questa decisione per tutelare staff e visitatori.
Più amara la riflessione dell’attivista russa sui social. «POLICE STATE è stata chiusa dallo stato di polizia. Ogni singolo evento che ho fatto in Russia è stato chiuso dai poliziotti. – ha scritto – Devo dire che ora comincio a sentirmi come se fossi in Russia. Il MOCA ha annunciato che a causa della crescente attività militare il museo sarà chiuso nel weekend. La mia performance sarà posticipata. Immagino che la Guardia Nazionale sarà protagonista di POLICE STATE al posto mio questa settimana».
L’artista ha poi aggiunto che avrebbe piuttosto marciato sulle strade con il Movimento 50501, nato per opporsi al secondo mandato di Trump. E, in effetti, ha continuato a pubblicare su Instagram immagini della sua partecipazione alle proteste statunitensi. Oltre ad una performance nella performance: un video con manifestanti e polizia fuori dal Moca e audio registrati durante le manifestazioni.
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Proteste anti-Trump e attività militare bloccano la mostra
«Ero in cella – ha scritto – e guardavo i disegni realizzati da prigionieri politici, liberi o ancora in carcere. Li ho inclusi in POLICE STATE. Sono finiti in prigione per anni per essere brave persone. Sento una solidarietà tangibile e viscerale tra le persone che soffrono dello stato di polizia sia nella parte del mondo da cui vengo che qui, negli USA. Qui demoliscono famiglie. Arrestano le madri e le deportano mentre prendono i loro figli a scuola. Bambini che piangono e gridano aiuto mentre portano via i loro padri. Sono madri, padri, non membri di gang, ma custodi che lavorano duro».
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«Mentre abbandono la mia prigione al MOCA e mi unisco alle proteste – continua Nadya Tolokonnikova – vedo le persone prendersi cura l’una dell’altra, donare maschere per il gas, acqua e occhiali protettivi. Questo spirito di solidarietà è prezioso. Colpiti da proiettili di gomma e ustionati dai gas lacrimogeni, si rifiutano di andarsene e celebrano la vittoria dello spirito umano sugli scudi antisommossa, sulle pistole e sui manganelli».
Nadya Tolokonnikova chiusa nella sua cella artistica al MOCA
E così, il contesto ha creato arte nell’arte. POLICE STATE di Nadya Tolokonnikova punta ad esplorare proprio il meccanismo di controllo e l’alienazione che si creano in un sistema che cerca di dominare corpo e mente. Al MOCA, Tolokonnikova ha trasformato la Geffen Contemporary in una cella. In parte – come scrive il Guardian – è la riproduzione della prigione russa in cui è rimasta incarcerata per quasi due anni. L’accusa – insieme ad altri due membri delle Pussy Riot – fu di teppismo motivato da odio religioso per aver organizzato una protesta anti-Putin, la celebre Preghiera Punk, in una cattedrale di Mosca all’inizio del 2012. Nello stesso tempo, POLICE STATE è tuttavia un nucleo simbolico, che mostra la forza della resilienza umana contro il potere di stato.
Foto di Santiago Imkorpo Pagnotta – courtesy of Pussy Riot via MOCA