Da Lucca a New York, passando per l’Australia: tre casi recenti di censura nell’arte riaccendono il dibattito sulla libertà espressiva degli artisti.
Il legame indissolubile tra arte e politica è più stretto e intenso di quanto si possa pensare: lo dimostrano recenti esempi di censura o – per esprimerci meglio – di dibattito intorno a opere che hanno generato stupore, indignazione e persino richieste di rimozione. L’ultima in ordine cronologico, nel nostro paese, riguarda la scultura Oltre le radici di Stefano Pierotti che si trova in Piazzale Boccherini a Lucca. L’ultimo blitz dell’autore ha arricchito l’opera con la bandiera palestinese e la scritta Oggi è domenica, domani si muore a Gaza.
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Lucca: Stefano Pierotti difende la sua scultura
Il sindaco Mario Pardini ha protestato criticando non tanto il messaggio in sé, ma piuttosto il fatto che «le modifiche sulla scultura che si trova in un luogo monumentale devono essere autorizzate, se l’autorizzazione non c’è vanno contro la legge». «La statua – ha continuato, come spiega La Nazione – non può essere usata come una bacheca personale dell’artista per scrivere i suoi pensieri, giusti o sbagliati che siano. Il problema non è la libertà di espressione. Ma si può davvero pensare che io non sia sensibile a quello che sta succedendo in quella parte del mondo?».
L’artista Stefano Pierotti ha prontamente risposto con un video su Facebook: «Il mio è un gesto spontaneo dettato da un’urgenza. – precisa – Ha dato fastidio probabilmente, perché subito dopo sono intervenuti per coprire la scritta con delle piante e volendo censurare quello che volevo esprimere». «Sento di dover denunciare da libero cittadino quello che sta avvenendo nella striscia di Gaza. – ha continuato – Poi autorizzazione, non autorizzazione… è cambiato qualcosa ora e non capisco bene le ragioni del perché oggi la gente passando per quella rotonda non debba avere la realtà sbattuta in faccia. L’arte serve ad aprire la coscienza».
Censura e arte: ISP e Whitney Museum of American Art
Simile – almeno nei contenuti – quanto accaduto una decina di giorni fa al Whitney Museum of American Art di New York. Il profilo Instagram dell’Independent Study Program (ISP) ha infatti cancellato l’evento previsto per il 18 maggio presso il Museo. «I testi che volevamo condividere – si legge nel post – sono il prodotto di uno studio collettivo e profondo. In essi chiediamo risposte su istituzioni, opere d’arte, corpi e carne, razza, problemi politici, potere coloniale, violenza, morte […]. È diventato impossibile condividere questi testi con dignità all’interno del Whitney Museum».
Il post continua raccontando di come il museo abbia «sorvegliato e controllato il nostro lavoro, intervenendo sulle nostre pratiche e degradando la critica indipendente che è da sempre associata all’ISP. […] Un controllo mai verificatosi prima culminato con la cancellazione da parte del Whitney Museum della performance No Aesthetics Outside My Freedom: Mourning, Militancy, and Performance del 12 maggio. A tutti gli effetti, un divieto del lutto collettivo e pubblico delle vite palestinesi».
Il Museo ha risposto di non aver preso la decisione alla leggera, ma che la scelta fosse «chiara e necessaria. Mentre stavamo lavorando ai testi e materiali promozionali delle ultime mostre dell’ISP, abbiamo rivisto il video di una performance precedente. All’inizio, uno degli artisti ha chiesto a chiunque credesse in Israele o nell’America di abbandonare la sala. In seguito, l’artista ha anche valorizzato atti e immaginari di violenza». L’artista in questione è Tbakhi, uno degli autori della performance in seguito cancellata.
Il caso Khaled Sabsabi
L’ultimo caso, meno recente, riguarda Khaled Sabsabi. L’artista libanese-australiano si è visto prima revocare l’incarico come rappresentante del Padiglione Australia alla Biennale d’Arte di Venezia 2026 e, a marzo, la sua mostra presso la Monash University di Melbourne è stata rinviata a tempo indeterminato. Sotto accusa, alla Biennale, erano finite due opere dell’artista: You, installazione con filmati manipolati del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, e Thank You Very Much, con immagini rielaborate degli attentati dell’11 settembre e una conferenza stampa dell’allora presidente statunitense George W. Bush.
Nonostante il favore della comunità artistica e culturale australiana, la mostra Flat Earth (che doveva aprire i battenti l’8 maggio al Monash University Museum of Art – MUMA) è stata sospesa come diretta conseguenza dell’esclusione di Khaled Sabsabi dalla Biennale.
Foto: Shutterstock