Nella notte del 30 luglio, una nuova opera della street artist Laika è apparsa a Piazza Sauli, nel cuore del quartiere Garbatella a Roma. Il poster, intitolato semplicemente Awdah, raffigura il volto di Awdah Kathaleen, attivista palestinese non violento e protagonista del documentario vincitore dell’Oscar No Other Land, ucciso recentemente da un colono israeliano nel villaggio di Masafer Yatta.
L’opera, affissa a Piazza Sauli, nel quartiere Garbatella a Roma, raffigura il volto dell’attivista ed è densa di simboli e riferimenti alla causa palestinese. «Ho voluto rendere omaggio, a modo mio, a una persona straordinaria che ha difeso la propria terra pagando con la vita. – ha dichiarato Laika. – Ho scelto di farlo durante una commemorazione pubblica, alla presenza dei suoi amici romani, attivisti e attiviste, compagni e compagne di lotta, in un quartiere che ha accolto Awdah nei suoi viaggi a Roma».
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Awdah Kathaleen è stato un attivista non violento e un insegnante, impegnato nella denuncia della pulizia etnica in corso in Palestina, tanto nella Striscia di Gaza quanto in Cisgiordania: territori devastati da demolizioni forzate, espropri e continue violenze da parte di coloni israeliani armati, spesso agendo con la complicità e la protezione delle autorità statali.
Laika, un’opera per Awdah Kathaleen
«Quello che sta accadendo in Palestina è inaccettabile. Ancora più grave è il silenzio dei governi europei. – continua Laika. – L’Occidente sta consentendo, in modo sistematico, la cancellazione di un intero popolo, che ha diritto a vivere in pace e con dignità».
All’affissione del poster era presente anche Micol Meghnagi, attivista e amica di Awdah. «Ad Umm Al Khair hanno proibito anche la sua commemorazione, il diritto a piangere un attivista infaticabile, un padre, un marito. – ha dichiarato – È così che agisce l’occupazione israeliana: priva i palestinesi della propria dignità anche da morti; deumanizza la perdita, il dolore, l’amore. È per questo che lo abbiamo commemorato a Roma».
A concludere è ancora Laika, con una dura denuncia: «Come può uno Stato che ha causato la morte di oltre 60.000 persone, tra cui 18.000 bambini, che affama quasi due milioni di esseri umani, espropria terre e lascia impuniti crimini come quello di Awdah, essere ancora definito l’unica democrazia del Medio Oriente?».